SEBASTIAN CLAW E ALTRI RACCONTI

Immobile sotto un cielo d’ossidiana attendo l’evento, il momento, il segno del passaggio. Cade una stella ma è solo un gioco di luce. Indosso gli occhiali della perplessità. Mi servono a dubitare di tutto quello che mi passa davanti. Rivelo il falso gioco, mi siedo e continuo ad aspettare…
Seduto sotto la volta scura, apro il laptop e incomincio a scrivere. È un gesto istintivo, che mi appartiene. Il caffè fumante alla mia destra, un po’ di musica di sottofondo e per il resto lascio fare alle dita. Le stelle continuano a cadere ma non ci bado. La storia mi trascina lontano, non so neanche io dove. Ma è bello sentirsi alla deriva, privati della bussola o del gps, in balia delle onde della fantasia. Un mondo nuovo, pieno di sipari e palcoscenici, uomini deformi e donne meravigliose, ignari del burattinaio, io seduto sotto un cielo d’ossidiana che li osservo attraverso gli occhiali della perplessità. La situazione è ideale.
Tutto si dispiega attraverso una parola. La parola è come una scatola magica, la apri e ne escono altre, cento, mille, un milione. Il riflusso è inarrestabile. Che importa poi se è solo un gioco. Vivo nel gioco, in bilico tra realtà ed immaginario, appaio arrogante, sconsiderato, vago, ma sono solo il menestrello di me stesso. Mi racconto e mi ascolto, e capisco dove sono, e dove mi conduco.
Vivo il viaggio in piccole dosi, alchimista e favolista al tempo stesso, regalo immagini, accozzo pezzi, invento paesaggi e mi muovo attraverso di questi. È una giostra, niente di più. C’è il cavallo bianco, la carrozza a forma di zucca, il leone e la tigre. C’è anche il drago; forse è proprio lui che fa girare tutto.
Il viaggio è come un disco. I racconti sono le canzoni. Questo preludio è l’overture. La scatola magica delle parole dissemina immagini sul foglio bianco, lo fa con un movimento sincopato, batte il tempo, segue il ritmo. Scrivo in tre quarti, quattro quarti, sette quarti, rischio melodie dissonanti, aggiungo strumenti eclettici, condendo il tutto con strani effetti. Il risultato è un pourpourì dal sapore sfuggente. Saporito e genuino. Se non vi piace annaffiatelo con del buon vino. Alla fine rimarrete comunque soddisfatti.
Ma adesso mangiate, che sennò si raffredda.
Buon’appetito.

Jonathan Macini Settembre, 2008

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