IL SIGNORE DELLA FORESTA

Nella notte buia arranco, io anima di un mondo dietro il drappo, cerco la risposta, l’indizio, il mezzo per dissolvere il dubbio. Nella foresta mi addentro, tra gufi, lupi e altre creature, i rovi graffiano le mie braccia nude, ma continuo, indomita proseguo il mio cammino.
Volgo lo sguardo al cielo, cerco la luna, un ritaglio di via lattea, una luce amica. Ma le fronde degli alberi sono diventate l’opprimente volta di una galleria. Intravedo appena il cielo, il resto è buio, olio nero che mi scivola addosso, che ottura i miei sensi e mi avvolge soffocandomi. La foresta è tutto quello che ho, tutto quello che mi è rimasto. Sarà lei che deciderà cosa farne di me, se lasciarmi vivere o morire, rinascere o soffrire. Eccomi, sono tua.
Perché quando il tempo rimane fermo e le facce che ti sorridono diventano di carta pesta, ti accorgi di non fare più parte di quel gioco, un gioco disegnato per te, attorno a te, addosso a te. Casa, lavoro, mondanità, le strade affollate di gente, la metropolitana che stride, il natale, la pasqua, le vacanze. Le sensazioni si appiattiscono. Il bisogno di nuovi stimoli ti fa saltare sulle patetiche giostre dell’intrattenimento. Le droghe amplificano quel briciolo di polvere di stelle che ancora ti rimane. Arrivi a un punto in cui ti convinci che solamente la foresta potrebbe tirarti fuori da questa assurda girandola.
Corro sull’erba bagnata, sull’humus, sul viscido muschio. Sento dell’acqua scorrere. Sono vicina alle cascate, alla corrente, il fiume che trascina, smuove, saltella, spruzza e inevitabilmente conduce al mare. La volta di chiome si apre. La luna si affaccia, splende come non l’ho mai vista. Accecata dal riverbero sulla superficie dell’acqua, mi arrampico sulle pietre del fiume, due, cinque, dieci metri sopra lo stagno nel quale rifluiscono le cascate. Ho raggiunto la sommità, il centro della foresta, la pietra più grande, io da sola con le braccia graffiate, i piedi doloranti, il respiro affannato. È arrivato il momento.
Baciami luna!
Slaccio il vestito che ricade ai miei piedi.
Prendimi luna!
Rimango nuda sopra la pietra. Aspetto.
Milioni di suoni cantano la canzone della foresta. Gufi e insetti, animali del sottobosco, daini e cervi, un lupo distante, il vento tra le foglie. Non ho freddo. C’è la luna che mi bacia, e questo mi basta. Attendo…
Non lo sento arrivare, ma percepisco la sua vicinanza. È un fuoco che arde nel basso ventre, e sale attraverso lo stomaco, la gola, fino alla fronte. Chiudo gli occhi per sentirlo meglio. È dentro me, attorno a me, accanto a me. Posso fiutare le sue fragranze, muschio, rugiada, resina, linfa. Attraverso le palpebre intuisco che è proprio sopra il mio corpo. Non apro gli occhi, ma spalanco le labbra, accogliendo il suo bacio. Lui è dolce e perentorio. Si adagia su di me, creatura di pelle e corteccia. Il suo abbraccio non è un gesto d’amore ma una comunione. Entra dentro di me con tutta la grandezza e la grazia che possiede. Io sprofondo in un bagno di piacere altruistico, come se attraverso il mio orgasmo potessi rendere partecipi tutti gli abitanti della foresta. Fusa insieme a lui, alla pietra, al fiume, e a tutti gli alberi che ci circondano, vago in un sogno liquido, tiepido, soffuso. Non siamo più nella foresta ma da qualche parte dentro la terra. Sopra la mia testa ci sono le estremità delle radici dei grandi alberi, sotto di me una luce morbida, diffusa. Volo, galleggio, mi muovo senza direzione in una cavità immensa. Il mondo di sotto.
Mi sveglio. La stanza buia. La finestra aperta. Il led del lettore cd lampeggia, ma Wind and Wuthering ha smesso di suonare. Ancora un altro sogno. Ancora una volta lui. Mi alzo dal letto. Guardo fuori. La luna è sempre alta. Potrei rimettermi a dormire, vedere come va a finire. Oppure fare una corsa verso il bosco. Chissà.
Premo eject. Il meccanismo fa estrarre il dischetto. Ne inserisco un altro. Kate Bush può andare.
Mi rimetto a dormire.
Sognare…

Tratto dal libro: Storie di Nuvole di Aeribella Lastelle per La Giostra di Dante

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