LIMBO – CAPITOLO 12: La notte improvvisa

PREVIOUSLY ON LIMBO…

Jade degli Arceri Rossi è un Keeper, protettore degli oggetti sacri di Seidon. Insiema a Misar e il gigante Yumo, si reca presso la Gilda di Nicon, dove conosce il giovane Tzadik…

…nel frattempo il mago Rivier e il suo apprendista Mylo vengono catturati dai Testimoni di Seidon, fanatici religiosi pronti a muovere battaglia contro gli eretici della Gilda di Nicon. Una volta che i due prigionieri sono condotti al cospetto del primo ministro Tawares, vengono misteriosamente rilasciati…

…segretamente i due maghi fuggono dall’accampamento per andare ad avvertire Nicon dell’imminente battaglia. Una volta giunti presso la gilda irrompono nella tenda nella quale Nicon e il gruppo di Jade discutono animatamente. Pochi istanti più tardi la ragazza viene colta da un malore…

…Jade è caduta in sonno magico propiziato da Sawar, che la cerca disperatamente manovrando la sua Torre Galleggiante e seminando distruzione in tutte le terre di Limbo. L’elenty Rivier, con l’aiuto della magia, riesce a riportare l’anima della Keeper nel suo corpo. Poi la gilda si mette in movimento, preparandosi alla battaglia contro i Testimoni…

…lo scontro tra i Testimoni di Seidon e la Gilda di Nicon esplode inevitabilmente sulle pianure del vespro. Il risultato della battaglia e’ incerto quando la torre galleggiante di Sawar irrompe sul luogo dello scontro.

CAPITOLO 12
La notte improvvisa

La Torre Galleggiante sovrastava il campo di battaglia, con le sue rocce appuntite, i bassi torrioni merlati e il grande bastione centrale. Dalla finestra più alta un uomo guardava estasiato le scene di violenza che prendevano luogo più sotto. Esseri deformi fatti di pietra e gesso azzannavano e stritolavano gli Arcon dei due schieramenti, che nella peggiore delle ipotesi si erano uniti per combattere il nemico comune. I Testimoni cadevano di fianco ai cavalieri della Gilda, fratelli di spada davanti alla follia omicida dell’Elenty corrotto.
Davinia si stringeva al suo amante e guardava oltre il mare di corpi maciullati. Avvertì l’eccitazione del suo compagno e avrebbe voluto approfittarne, ma in quei momenti Sawar non voleva essere assolutamente disturbato. Rimase vicino a lui, stringendosi ancora più addosso, accarezzandolo nelle parti intime. L’avrebbe avuto più tardi, quando tutto si sarebbe concluso e le urla sarebbero cessate.
Ma qualcosa colse la sua attenzione. Un gruppetto distaccato, un gigante Arenty, quattro cavalieri ed un mago impegnato in un complicato incantesimo. Indicò la scena al suo compagno, lo sentì irrigidirsi, maledire Limbo per l’ennesima volta.
«Fai atterrare subito la torre!» ordinò ad Ekaron, che aveva il compito di guidare l’assurda magione volante.
La struttura cominciò a muoversi verso il basso. Era un’operazione non facile ma necessaria, perché Sawar aveva intuito la natura dell’incantesimo di quel mago. Rivier, maledetto lui, pensò. Evocò una sfera di fuoco e la scagliò verso il basso. Tre cavalieri vennero arsi vivi. L’Elenty riuscì a sentirsi un po’ meglio. Poi le pareti del bastione incominciarono a tremare.
«Che succede?» domandò Davinia. Vide i suoi occhi riempirsi di collera.
«Ci sa fare con la roccia quel dannato Elenty! Dobbiamo uscire di qui. Tra poco crollerà tutto quanto!» le rispose.
«Ekaron?» chiese.
«Se riuscirà a farla atterrare prima che crolli tutto forse avrà una possibilità di salvezza… Andiamo!»
Le due figure si proiettarono fuori dalla finestra, un volo in caduta libera rallentato da alcune parole in lingua Bit. Un attimo dopo, proprio nel momento in cui la struttura volante toccava terra, il bastione centrale si sbriciolò.
La battaglia continuava ad infuriare poco distante dal luogo in cui la torre era atterrata. Nicon sapeva che le spade non erano di grande aiuto contro golem e gargoyle, almeno che non si ricoprissero di uno strato magico, poche parole per alterare la struttura della lama e far si che penetrasse nella roccia come il burro. Per questo motivo il terreno attorno al capo della Gilda era ricoperto di arti mutilati e pezzi di gesso.
Ma non tutti i cavalieri potevano avvalersi di un simile vantaggio. Le belve erano centinaia e avevano già apportato enormi perdite nelle file dei Testimoni. Lo stesso Tawares era stato gravemente ferito ed un piccolo distaccamento dell’esercito aveva ripiegato verso le montagne, cercando di portare in salvo il proprio capo. I Testimoni di Seidon combattevano con onore, ma non avevano molte speranze.
Sawar e Davinia avevano intanto raggiunto la terra ferma. Gli scontri continuavano sempre più cruenti a pochi passi da loro, ma all’Elenty corrotto non interessavano. Era la ragazza che voleva e per raggiungerla avrebbe dovuto aggirare l’intero campo di battaglia, e affrontare quel dannato Rivier. Richiamò una decina delle sue belve. Lui e Davinia montarono in groppa a due di queste e si lanciarono al galoppo aggirando il luogo dello scontro. Presto si ritrovarono davanti al gigante.
La scena che seguì ebbe il sapore di un deja-vu per Jade; erano i frammenti dei suoi più recenti incubi. Yumo ingaggiò un feroce combattimento con le Belve che gli si gettarono contro. Spaccò zampe e teste di pietra, coprendo ogni breccia, parandosi di fronte ai suoi compagni come un muro insormontabile. Mylo e Tzadik erano pronti a dargli manforte, ma entrambi si rendevano conto che non sarebbero durati molto contro quelle creature. Più dietro Rivier doveva ancora riprendersi dal tremendo incantesimo che aveva proferito. Il potere al quale aveva attinto lo aveva prosciugato, e adesso riusciva a stento a stare in piedi.
Yumo lottò come una macchia da guerra. L’ascia perdette il filo ma continuò a spaccare, perché la forza impressa dall’Arenty era a dir poco devastante. Ma le belve erano troppe. Sawar aspettava che cadesse. Fermo sulla sua cavalcatura, Davinia al suo fianco, si compiaceva di quello scontro impari. I muscoli del gigante erano ormai ricoperti di tagli, il volto deformato da contusioni. Il sangue scorreva copioso da molte ferite. Eppure continuava a lottare, perché era nato per quello. Proteggere l’oggetto di famiglia, ad ogni costo.
Cadde in ginocchio, ma continuò a ruotare l’ascia. Recise un’altra testa di gesso, poi bocche zannute afferrarono e strapparono le carni del braccio che teneva l’arma. Cadde questa volta senza speranza, e non riuscì più a muoversi. Forse udì l’urlo di disperazione di Jade, prima di chiudere definitivamente gli occhi su Limbo.
Con Yumo fuori gioco resistere diventava inutile. La ragazza Keeper afferrò il medaglione. Forse poteva ancora salvare gli altri. Che senso aveva continuare a lottare. Il suo sguardo si perse nella distanza, dove gli uomini continuavano a combattere e a morire, per ragioni che forse non significavano niente. I Misteri, le leggende, Seidon, la montagna sacra…. Che senso aveva tutto ciò.
«È solo questo che vuoi!» urlò la ragazza rivolta all’uomo dei suoi incubi. Lo aveva riconosciuto subito. Il volto scarno, gli occhi ricolmi di follia. Sawar… «Prendilo allora, e lasciaci in pace!»
In risposta udì una risata agghiacciante. Misar le appoggiò una mano sulla spalla. Quel gesto significava che gli era vicino, che avrebbe combattuto per lei, che avrebbe assecondato le sue scelte. Anche Mylo e Tzadik, i due ragazzi che conosceva solo da un paio di giorni, le si fecero appresso.
«E dovrei rinunciare a vederti dilaniare dalle mie care bestiole?» replicò l’Elenty sogghignando.
Poi la luce cambiò.
Le variazioni di luminosità erano comuni nelle pianure del vespro, ma tutti si accorsero che c’era qualcosa di diverso in quello strano abbassamento di luce. I colori divennero smorti, le ombre sbiadirono. Jade volse lo sguardo al cielo. Istintivamente lo fecero anche gli altri, i compagni che le stavano accanto, Rivier qualche passo più indietro, stanco a tal punto da non riuscire neanche a camminare, i cavalieri che non erano impegnati a lottare. Gli stessi Sawar e Davinia non riuscirono a resistere a una strana sensazione. Guardarono in su e il loro cuore si fermò per un attimo.
Il sole si stava oscurando. Era finalmente giunto il tempo dell’Emersione, l’eclisse che segnava l’avvento del grande cambiamento, come dicevano le leggende degli Arcon e confermavano i Misteri. Il Guardiano della montagna sacra era pronto ad accettare i sacri oggetti, dopo di che una nuova era sarebbe incominciata.
«Non posso crederci…» mormorò Sawar, forse il piú meravigliato di tutti. Il volto di Davinia era bianco come la luna. Quasi perdette il controllo della sua cavalcatura. E poi Rivier, l’altro Elenty presente sul campo da battaglia. Adesso stava in piedi, con lo sguardo puntato sul sole che lentamente veniva oscurato. Gli erano ritornate le forze. Incredulo ripeté. «É arrivata…».
Mentre per i tre Elenty, che tanto avevano atteso quel momento, il tempo sembrava essersi fermato, un uomo spronò il suo cavallo oltre le belve che lo braccavano. Nicon era il suo nome. Non credeva alle leggende Arcon e ripudiava gli affari degli Elenty. Per questo motivo si mosse veloce verso il nemico. Nei suoi occhi brillava il desiderio di vendetta. Molti dei suoi compagni giacevano riversi al suolo, dilaniati da quelle assurde statue animate.
Sawar guardava ancora l’astro oscurarsi quando la lama di Nicon gli trapassò il petto. Un colpo alle spalle, forse non onorevole, ma poteva considerarsi decoroso il modo in cui l’Elenty corrotto mieteva le sue vittime?
Davinia urlò ancora prima del suo compagno. Un fiotto di sangue fuoriuscì dalla bocca di Sawar. Ruotò gli occhi, si accasciò sulla cavalcatura, l’elsa della spada gli spuntava da sotto la scapola. Allora Davinia fu rapida ad afferrare le sue redini e a lanciarsi al galoppo attraverso le praterie. Cavalcò spedita attingendo alla magia che conosceva. Nicon la inseguì per finire il lavoro, ma presto venne distanziato.
Davinia pianse mentre cavalcava, perché il suo era comunque amore, anche se distorto, come distorta era tutta quella storia, fatta di impulsi elettrici e prigioni dorate. Sawar giaceva riverso sul dorso del gargoyle, trafitto dalla spada dell’Arcon. Lei lo teneva aggrappato con un semplice incantesimo. Pregò che fosse ancora vivo, anche se non sapeva chi stava pregando. Non aveva mai creduto in Dio, né prima né dopo Limbo, ma si ritrovò a pregarlo. Per la prima volta da quando era diventata una mera sequenza di codici binari dubitò della sua non esistenza.
«Ti prego, fai che viva!» urlò alle praterie del vespro. Nel cielo il sole era diventato un disco nero.

FONTE: http://limbo2009.wordpress.com/

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