Ecco qui i 14 profili di Giulia Ricco’ che accompagnano gli altrettanti quadri di Antonio Conte per la mostra che si sta tenendo in questi giorni nel comune di Pennadomo (Ch).
MARCO
Era estremamente solare come persona. Amava la vita e amava divertirsi. Amava l’estate e adorava tuffarsi in acque profonde.
Quel giorno il sole era particolarmente splendente, e l’acqua della piscina era cristallina. Era molto presto perciò non si domandò come mai non ci fosse nessuno. Stese l’asciugamano al bordo della piscina e si tuffò tappandosi il naso.
Improvvisamente l’acqua si fece torbida. Il tempo si fermò. Dal nulla sbucò un essere mostruoso. Aveva forma umana ma non poteva certo definirsi tale. La testa era deforme e non aveva viso. Niente occhi né bocca né altro. Strisciò come un serpente nell’acqua fino a lui e piazzò il suo cranio davanti alla sua faccia. La testa dell’essere divenne come uno specchio che rifletteva il suo volto. Si sentì risucchiare tutta la felicità, si sentì morire lentamente. L’aria cominciò a mancare. Con uno sforzo immane urlò e allungò una mano riuscendo ad allontanarlo.
Si svegliò madido di sudore ancora urlante. La sveglia segnava le sei.
Guardò la borsa per la piscina pronta ai piedi del letto. Con un brivido si rimise sotto le coperte: per oggi niente piscina!
EMANUEL
Fissava un punto all’orizzonte.
Clic.
La macchina scattò la fotografia.
“Perfetto” pensò guardando l’anteprima sul piccolo schermo della macchina fotografica.
Aveva calcolato tutto alla perfezione: le ombre, il bianco e nero, la posizione, il taglio della foto.
Tutto perfettamente calibrato. L’arte della fotografia è una scienza esatta, cattura un momento e lo intrappola.
Si guardò attentamente nell’immagine. Non si riconosceva mai nelle foto che lo ritraevano, sarà perché le fotografie catturano l’anima delle persone. Almeno così dicevano alcuni.
L’espressione era venuta malinconica.
Forse è vero allora che catturano l’animo umano.
Spostò lo sguardo su un’altra foto incorniciata sulla scrivania.
“Sara.Mi sei venuta in mente proprio mentre scattava la foto…”
Deve essere proprio vero che le foto intrappolano l’animo umano.
ANNA LARA
La vidi uscire dal locale.
La seguii a breve distanza. Mi piaceva il suo modo di camminare.
Una macchina ci passò accanto illuminando la strada bagnata con i fari.
Lei si strinse nel cappotto.
I capelli le ricadevano morbidamente sulle spalle. Aveva un bel fisico, curve dolci come un paesaggio collinare, vestita di nero, e un paio di stivali militari. Non aveva una borsetta.
“Strano” pensai. Si frugò in tasca alla ricerca delle chiavi, segno che dovevo sbrigarmi.
La chiamai e lei si voltò di scatto con un sobbalzo.
Sparai.
Ebbi solo il tempo di vedere la buffa espressione di stupore che le si dipinse in viso prima che i capelli tornassero a coprire un volto fino a quel momento celato dalle ombre. Peccato che sia finita così cara, eri bella, ma il lavoro è lavoro. Le sparai un altro colpo per essere sicuro e mi voltai per andarmene.
Peccato eri davvero bella.
MARCO
Il suo sguardo di sfida era tipico dei ragazzi del ghetto. Il volto scavato dal tempo e dalle difficoltà della vita. Ti guardava sempre dritto negli occhi come a dirti “provaci a fare un passo falso e ti sistemo io”. Alcune cicatrici segnavano il suo volto, trofei di battaglie di strada.
Era un ragazzo intelligente. Però doveva tenere nascosta la sua intelligenza, se voleva sopravvivere in un posto dove la differenza lo faceva l’apparenza della forza. Ogni notte, quando rincasava, dismetteva quei panni da duro, metteva a letto sua madre ubriaca e il suo fratello minore, addormentati davanti alla televisione. Sistemava il sistemabile in casa, poi si rifugiava in camera, alzava un asse del pavimento e tirava fuori il suo tesoro nascosto: una piccola biblioteca tra libri di letteratura e scienze. Si sdraiava sul letto e si immergeva in un mondo migliore dove poteva essere qualcuno di più, che un semplice ragazzo di quartiere.
NICOLA
Il cielo era coperto di nuvole quel giorno, eppure lui stava lì sulla spiaggia, raggomitolato su se stesso, immerso nei suoi pensieri. Abbracciava le sue gambe come se fossero uno scudo contro il resto del mondo.
Da qualche parte qualcuno suonava.
Lui non lo sentì, stava lì da solo, guardando la lotta che si stava svolgendo tra due granchi. Rimase fermo fin’che non arrivò un gabbiano che decise che i granchi sarebbero stati il suo pasto. Quando l’uccello prese il volo, lui lo seguì con lo sguardo e alla fine si gettò sulla spiaggia, con gli occhi chiusi a lasciare che lo scorrere della vita lo accarezzasse nella sua spietata essenza.
RAMONA
Altezzosamente guardava il mondo con aria di sfida. La bocca sempre piegata in una smorfia di durezza, i modi di fare alteri, freddi, a dimostrare una forza fatta di cartone dipinto. Quando restava sola l’armatura si sbriciolava e tornava bambina, una bambina debole e ferita, in cerca di sicurezza, in cerca di un abbraccio confortante, in cerca di quelle parole affettuose che nessuno le aveva mai detto. Abbracciava i suoi amici di pezza, le sue fantasie di adolescente intrappolata in un corpo di donna. Si sedeva sul letto, le gambe incrociate, e guardava i loro occhi vuoti alla disperata ricerca di una risposta, ma il vuoto non si può riempire con altro vuoto, e così scivolava lentamente nel mondo dei sogni, dove finalmente sentiva le parole tanto desiderate.
SAMUELE
Egli appariva come un Jolly in giro per il mondo. Un Jolly che farà si che il mondo non si addormenti, che in qualsiasi momento o luogo spunterà fuori ,ricoperto di campanelli e, guardandoci negli occhi, ci ripeterà le domande: “Chi siamo? Da dove veniamo?”
Lo guarderemo nascondere il volto e non sapremo mai se sta piangendo o pensando finché non scoppierà in una fragorosa risata, e allora ci farà vacillare e, proprio come la matta di un mazzo di carte, a suo piacere potrà salvarci o portarci alla rovina.
MARIA
Apparire.
Che aveva un bel corpo lo sapeva. Civettava con se stessa davanti allo specchio con il cappello di paglia calato sulla testa in modo giocoso. Voleva essere vista sempre sfarzosa, sempre alla moda, sempre pronta ad essere al massimo. Prima di uscire sceglieva meticolosamente vestiti, trucco e accessori, doveva essere impeccabile, doveva mostrarsi sempre in tutta la sua euforica perfezione. Perché mostrarsi imperfetti voleva dire mostrarsi vulnerabili, voleva dire mostrare il fianco debole al nemico, e il nemico era l’umanità intera.
Doveva indossare la maschera, una maschera per apparire invulnerabile.
Apparire per vivere, per essere…
DARIO, ANTONIO E DARIO
Amici.
Ma amici è come fratelli.
Ridere, scherzare, discutere, conquistare il mondo assieme.
Amici è come fratelli, forse di più.
Inseparabili.
Affiatati.
Amici sono la famiglia che ti scegli.
Loro si erano scelti. Si erano scrutati, annusati circospetti, poi si erano scelti senza dire una parola. Semplicemente stando assieme.
I litigi, i disaccordi, tutto passa se si è amici, tutto si perdona, anche le cazzate grosse. Basta parlare, magari ci scappa un pugno, ma è tutto compreso nel prezzo.
Amici, amici come fratelli.
SIMONETTA
Le mani affusolate coprivano il sole, che le feriva gli occhi, nascondendole il viso. Sapeva che non sarebbe passata inosservata. Aveva un portamento eccentrico. I capelli colorati in modo sgargiante, gli abiti neri, i grandi anelli, tutto di lei richiamava l’attenzione.
Osservava attraverso gli spiragli delle dita i movimenti delle persone. Tra tutti, guardava quelli di un uomo che stava seduto su una panchina in riva al lago del parco. Fissava con estrema malinconia le papere nel lago artificiale. Era vestito di grigio e aveva un’aura strana attorno a se.
Lei si alzò e si avvicinò all’uomo. Si sedette al suo fianco.
“Buon giorno” disse lui lentamente cercando di calciare una lattina ai suoi piedi.
“Io ti libero dalle tue sofferenze e assolvo la tua anima! Puoi tornare nel regno dei morti e lasciare finalmente questa terra.” Sussurrò lei mentre faceva sulla schiena dell’uomo un simbolo magico. L’uomo la guardò un istante e poi si contorse e cominciò ad involvere fino a scomparire. La ghost hunter si alzò. Anche questo lavoro era stato svolto facilmente. Alzò lo sguardo verso le persone che le stavano attorno. Erano tutte vive. Sospirando si incamminò nella luminosa mattina del parco.
ELENA
Il riverbero del mare si riversò sui suoi capelli. Non riuscii a chiamarla subito. Guardava il mare immersa nel fragore stesso della vita. Lo stridio dei gabbiani che volavano alla ricerca di qualche pesce da mangiare, il vociare delle persone che quella mattina affollavano la spiaggia, nulla sembrava scalfire la sua immobilità. Ferma, mentre il resto del mondo le girava intorno.
Una folata di vento le mosse i capelli. Con gesti lenti e dolci si aggiustò i ciuffi ribelli. La chiamai. Si voltò e mi vide. Sorrise. Un sorriso che aveva in se tutto il calore di quella soleggiata mattina al mare.
FABIO
Quella mattina era uscito sebbene facesse un freddo cane. Si era avvolto nella sciarpa e camminava senza una meta precisa. Era uscito ad assaporare un pezzo di mondo alla ricerca di qualcosa.
Il primo dell’anno, alle 7 di mattina, non c’è nessuno in giro e si posso apprezzare cose che se no verrebbero nascoste dalla gente. Il suo sguardo indagatore scrutava ogni stranezza, ogni meraviglia. Un cane stava urinando su di un albero , e un gatto tremante, ancora spaventato dai petardi della notte, se ne restava nascosto tra i cespugli. Cadaveri di fuochi d’artificio tappezzavano le strade. Poi vide qualcosa. Una ragazza sul balcone si stringeva nel pigiama. Restava lì in mezzo all’aria gelida per assaporare l’assordante silenzio. La fissò ancora un minuto, si girò e tornò a casa. Aveva catturato l’essenza che stava cercando.
VALERIA
Nel silenzio della calura estiva tutto era immobile. Anche le cicale restavano zitte, soffocate dal sole cocente. Concentrata nel lavoro non si accorse che la osservavo. Le trecce infantili lasciavano il collo sinuoso scoperto. Mi piaceva guardarla mentre sussultava colpevole ogni volta che, poggiando un piatto che stava lavando, rompeva il religioso silenzio. Una quiete serena emanava da lei. I gesti abituali, le spalle morbide, il respiro regolare. Tutto in lei era perfettamente in armonia. Piano scivolai nel sonno cullato dalla sua dolce luce.
LUCA
Entrava tutte le sere nello stesso bar. Le spalle curve sotto la giacca gli occhi bassi a guardare il grande abisso ai suoi piedi. Prendeva sempre il solito:una pinta di birra chiara. Si sedeva poi al tavolo nell’angolo e cominciava a giocare ad interminabili solitari. Così, malinconicamente assorto, sembrava perdersi nelle carte e nell’alcool, per dimenticare la peggior partita a poker che avesse mai fatto: quella contro il destino. Restava lì, in silenzio, da solo con le sue carte ad aspettare l’ora di chiusura. Poi si alzava, salutava con un cenno della testa e usciva di scena inghiottito dal buio.
Giulia Ricco’ – Altri Lavori
Immagini di Antonio Conte
Pingback: Antonio Conte – FACCE DA FACEBOOK (ognuno sarà famoso x 15 persone) « I Silenti·
… incantevoli… dei piccoli gioielli…
Pingback: IL 2010 DI RIVOLUZIONE CREATIVA « RIVOLUZIONE CREATIVA·