La vigilia di natale mi vesto di rosso, per via delle macchie…
Mi metto il cappello con le campanelle, la barba finta, con quei fastidiosi pilucchi che mi entrano in bocca e mi fanno sputare, gli stivali alti foderati di pelliccia e alle otto di mattina incomincio il giro della città. La stazione dei treni, quella degli autobus, la via dei negozi con tutte le lucine accese, il centro commerciale, la piazza della chiesa, dove mi metto a disposizione di chi vuole scattare qualche foto, e poi di nuovo a camminare per il centro storico, perché col freddo che fa non ci si può permettere di rimanere fermi.
A metà mattinata mi faccio un panino grazie agli spiccioli rimediati dai turisti. Mi siedo su una panchina un po’ riparata dal vento, facendo attenzione agli strumenti che tengo legati sotto il costume, e addento una prelibata rosetta col prosciutto, o se mi va bene con il salame ungherese, che ci vado matto. Quando mi rimetto in cammino sono già le undici e anche le volte che c’è il sole la temperatura rimane sempre poco sopra lo zero. Mi muovo in direzione del fiume, attraverso il ponte pedonale, gremito di sgambettanti ragazzini, e getto uno sguardo sotto l’argine dove nutrie e talponi hanno i loro affari. Più tardi andrò a far loro visita, quando le ombre avranno reclamato le strade della città ed il rituale avrà santificato questo inutile giorno di festa.
Dalla parte opposta del fiume la situazione è più tranquilla. Entro nella piazza dei giochi nella quale si aggirano piumini rossi e celesti. Si arrampicano sulle strutture di metallo, cavalcano le altalene e giocano a rincorrersi. Le loro piccole grida sono una musichina speciale per il mio cuore. Appena mi vedono arrivare i più piccoli mi vengono incontro. Io mi metto a suonare il campanello che mi porto appresso e auguro a tutti “Buon Natale”, fino a quando i genitori si fanno vicini per scattare qualche fotografia. C’è anche chi mi mette in braccio un bimbetto per portarsi a casa il ricordo perfetto della vigilia. Qualcuno mi allunga due euro. I più generosi mettono mano anche alla banconota da cinque. D’altra parte è natale…
Io sorrido, anche se con tutta quella barba finta nessuno se ne accorge, e ringrazio. Non che ne abbia davvero bisogno, figuriamoci. Nella vita reale mi bastano poche ore davanti al computer per tirare su 8-10 mila euro, basta conoscere bene il mercato, l’andamento dei titoli quotati in borsa e naturalmente, specie in questi ultimi tempi, è essenziale attingere alle informazioni giuste.
Ma la vigilia non è un giorno come gli altri. Non è nemmeno la realtà come la penso io. Fare il giro della città vestito da Babbo Natale è una sorta di liturgia, un’esperienza trascendentale, totalmente al di fuori della normalità. Sono ormai quindici anni che celebro così il natale, e mi piace sempre di più. Peccato che venga solo una volta all’anno…
Dopo la piazzetta me ne vado al bar a prendere un cappuccino caldo e un cornetto. Di solito il barista me li offre, perché è natale ovviamente, ed io, vestito in quella maniera, rappresento l’essenza della festa. Mi accomodo a un tavolino a leggere il giornale anche se non leggo veramente. Ho solo bisogno di riscaldarmi un po’ prima di riprendere il mio giro.
Da una strada poco frequentata ritorno verso il fiume, passo il secondo ponte (quello con le macchine) e ritorno sulla strada dei negozi. Alle due il via vai è diventato a dir poco caotico. La gente si affretta fuori e dentro le botteghe per afferrare il regalo dell’ultimo minuto. Facce tese, mamme stressate, bimbi stanchi e spesso piangenti. Vogliono di più. Vogliono sempre di più. Un regalo più grande, più bello, più importante. Genitori impotenti chinano il capo per soddisfare celermente le richieste dei loro piccoli tiranni. Ed ogni anno è sempre peggio…
Il caos è mio amico. È nel caos che l’occasione si presenta, immancabilmente. Non devo far altro che appostarmi vicino all’entrata di un negozio di giocattoli. Sono loro, i piccini, che vengono da me. Mi guardano, mi sorridono, la loro mamma sta cercando la carta di credito davanti alla cassa, con la fila dietro che le respira sul collo. Le scivola il portafoglio, le monetine rimbalzano, una donna anziana alle sue spalle sbuffa scocciata. È il momento in cui afferro la manina del piccino e lo trascino dentro la fiumana di gente in preda alla febbre del natale. A migliaia deambulano con pacchi e pacchettini, sciarpe e cappelli, i-pod negli orecchi e cosí tanti problemi in testa che diventa proprio impossibile accorgersi di un bambino che chiama la sua mamma.
Conquisto indisturbato il vicolo. Dovrebbero notarmi ma nessuno mi vede. Succede sempre così. A volte me lo auguro pure. Mi dispiace per quell’esserino, ma non è colpa mia se non interessa a nessuno, non vi pare?
Il vicolo è già buio perché è uno dei giorni più corti dell’anno e sono le quattro e mezza del pomeriggio. Dietro il cassonetto nessuno ci può disturbare. Lo guardo negli occhi, gli dico di stare calmo che tutto andrà bene, ma lui di solito continua a piangere, poverino. Allora decido di affrettarmi, estraggo da sotto il costume i miei strumenti e il sacco di plastica rivestito di juta, essenziale per il mio travestimento. Lavoro coi guanti per evitare di macchiarmi. La giacca rossa, come ho già detto, mi è d’aiuto. Un quarto d’ora dopo sono di nuovo sulla via dei negozi, un Babbo Natale provetto con tanto di sacco pieno di regali. Da qualche parte una madre urla disperata il nome di suo figlio. Io mi avvio verso il fiume. Il rituale non è ancora finito…
Devo dare da mangiare ai topi…
Jonathan Macini – Altri Lavori
Questo racconto fa parte della raccolta STORIE DI NATALE
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… un brano decisamente interessante. La narrazione, così pacata, attenta ed equilibrata non lascia presagire il finale, che mi ha sorpreso…
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