LA FILOSOFIA DEL CALCIO SECONDO IL CARRAI

Non sono mai stato uno sportivo, anche se devo ammettere che il tennis è un bello spettacolo; pulito e preciso, un gioco di linee e rimbalzi, dritti e rovesci che ha tutta una sua musica. Se poi è giocato dalle signore, con quei loro completini corti, candidi come le confezioni dei confetti, allora ci puoi perdere anche un paio d’ore davanti al maledetto schermo, con la Vecchia Romagna a farti compagnia, la boccia s’intende… Ma il calcio proprio non mi è mai andato giù, per due ragioni in particolare; primo, la versione al femminile praticamente non esiste, secondo, perché non sono mai riuscito a capire come cavolo funziona quel maledetto fuorigioco. Comunque al bar qualche partita la guardo, anche perché la domenica non si scappa, son tutti in prima fila a vedere il campionato. Spesso rimango al banco a far compagnia alla Giorgia, lontano dalle urla degli sciamannati, ma le domeniche in cui la prosperosa figliola di Aldo il barista è di festa, mi aggiro come un’ombra attorno al cuneo di sedie che si forma davanti al vecchio televisore Mivar, volgare anfiteatro dei nostri tempi.
Un giorno decisi di sedermi accanto al Carrai, irriducibile settantenne che non si era perso neanche un programma di campionato fin dai tempi del povero Paolo Valenti e forse anche più indietro. Il Carrai aveva la fissa del calcio ma era, a differenza degli altri tifosi del bar, un tipo molto tranquillo. Non l’avevo mai visto accanirsi per un fallo, un errore arbitrale, una sostituzione contestata o qualsiasi altro evento che solitamente scatena nell’animo del tifoso medio un attacco fulminante di ulcera. Se ne stava defilato sul lato destro dell’anfiteatro, le mani strette sui braccioli di plastica della sedia, il capo puntato verso lo schermo che gli si rifletteva crudelmente sulla testa calva. Era terminato il primo tempo e quasi tutti se n’erano andati a prendere il caffè o il grappino, oppure erano fuori a fumarsi la sigaretta o a chiamare la moglie o la ganza o che so io… Così presi posto accanto a lui e gli chiesi subito com’era la partita, non perché m’importasse qualcosa ma per capire un po’ che tipo era questo misterioso Carrai, che a parte il buongiorno e buonasera non parlava mai con nessuno. Lui continuò a fissare la TV, mentre passavano la reclame di un auto che prometteva miracoli e prestigi di un mondo schiavo del consumo, e per un attimo mi chiesi se non fosse un po’ sordo.
– Non c’è male – disse di colpo, e mi sorrise, o così mi pareva perché ancora rimaneva girato.
– Chi vince? – replicai io.
– Pareggiano, uno a uno. Tutte e due le squadre stanno facendo un buon gioco, e non hanno paura di rischiare. Potrebbe venir fuori un bel secondo tempo – rispose lui, continuando a guardare lo schermo, e poteva averci le sue ragioni dato che in quel momento una bella figliola, dopo essersi spruzzata di deodorante, se ne sculettava via lontano dalla cinepresa.
– Sai, io non ci capisco molto di calcio… – cercai di giustificarmi.
– Il calcio è l’unica cosa vera che ci è rimasto.
– Che vuoi dire?
– Il calcio, per dire lo sport in generale, è l’unico spettacolo di cui ti puoi ancora un po’ fidare. Il resto invece è tutto deciso a tavolino… – ripeté con convinzione il mio amico, e questa volta si era girato per guardarmi in faccia.
– Vabbé, ma il mondo dello sport, specialmente quello del calcio, è marcio fino al midollo – imputai io, sicuro della mia posizione. Rimasi invece sorpreso da quello che quel vecchiuccio tirò fuori.
– È vero, il mondo del calcio è pieno di gente orribile, ma una volta che quei ventidue decerebrati incominciano a correre come forsennati dietro un pallone, tutto ritorna in mano al fato. E poi si sa, la palla è rotonda…
– Scusami sai, ma non credo di aver capito – ammisi io, pensando che avrei avuto bisogno di un’altra sambuca.
– Il meccanismo del mondo del calcio fa schifo, ovviamente. Il più ricco si costruisce la squadra migliore e, molto spesso, vince i titoli. I tifosi sono dei debosciati che arrivano ad ammazzarsi per uno sbaglio arbitrale. I giocatori sono dei busti con le gambe ma privi di testa. I giornalisti che commentano le partite sono assolutamente patetici. Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Ma c’è una cosa che è irremovibile e cristallina, il risultato finale della partita. Quello è e rimane. Nessuna televisione o testata giornalistica potrà mai confutarlo. È quella la cosa bella del calcio e dello sport in generale. Non tanto le classifiche, ma il risultato dello scontro singolo. Perché può capitare a volte che i campioni, ricchi e privilegiati, vengano strapazzati da una squadretta da due soldi, e allora è lì che godo!
L’aveva vista lunga il mio amico Carrai. In effetti oggigiorno quando prendi un giornale in mano non sai più a chi credere. Politica, cronaca, arte, spettacolo, economia… Apparentemente tutti sembrano dire una cosa diversa, ma se poi scavi un po’ più in profondità ti accorgi che stanno tutti dalla stessa parte, e alla fine non ci capisci più niente di quello che davvero succede nel mondo. Poi arrivi alla pagina dello sport, e finalmente puoi rifarti gli occhi. Non con gli articoli, bada bene, ma coi i risultati. I risultati non mentono. Son come la matematica, o la sambuca con la mosca.
“Giorgia, versane un’altra vai!”

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3 risposte a “LA FILOSOFIA DEL CALCIO SECONDO IL CARRAI

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