SCARPE PER CORRERE

di Federica De Angelis

Oggi ho messo le scarpe da strega cattiva, quelle col tacco alto. Non sono l’ideale per correre ma io oggi non devo correre; sono stata a perdermi un pò in libreria dopo il caffè con Giulia. Niente di nuovo pare. Tutti mi guardano mentre cammino trafelata, mi sembra così. Mi guardo per un attimo scivolando veloce, dall’alto in basso, fino alla punta delle scarpe, giusto per essere sicura di non avere nulla che non va. Sono maledettamente sexy ecco che cosa ho che non va, lo vedono tutti, anche i bambini, tutti tranne me. Salgo sull’autobus stracolmo come sempre a quest’ora. Una bolgia di corpi, di odori, di pensieri. Passo velocemente in rassegna l’affollato metro quadrato in cui mi trovo per fare conoscenza dei miei compagni di questo breve viaggio. Una signora anziana con le buste della spesa e il fazzoletto legato in testa, una elegantissima donna indiana con tanto di bambino al seguito e un gruppo di uomini, non saprei dire, forse stranieri. Attaccata alla maniglia dell’autobus che mi fa ondeggiare come una nave in tempesta, sento i loro occhi fissi sul mio sedere. E’ vero che indosso un paio di jeans attillati che non lasciano proprio nulla all’immaginazione ma questi occhi me li sento addosso appiccicosi, non si scollano. Non mi disturba più di tanto, neanche quando qualcuno si struscia con la scusa di una brusca frenata. Quello che proprio non sopporto sono quegli uomini nei supermercati con moglie e figli, che mentre fanno la spesa ti guardano con la bava alla bocca, come se facessi parte del banco frigo, come se fossi che so, un trancio di mortadella o un vassoio di porchetta. Ecco, quelli mi disgustano e mi disgusta il fatto che si facciano sogni su di me, magari mentre stanno a letto con la moglie di 120 kg.
Non faccio in tempo a terminare il pensiero che l’autobus frena bruscamente per accostare di striscio al marciapiede. Per poco non cado, mi giro di scatto perché di riflesso sono indietreggiata per mantenere l’equilibrio e ho pestato i piedi ad un signore dietro di me. -Mi scusi- gli dico. Lui mi sorride e i suoi occhi scivolano immediatamente sul mio sedere.
Cerco a fatica di portarmi davanti, tra una fermata scendo. Il ritornello dei “permesso” e “mi scusi” risuona nell’autobus, sembra incredibile quanto spazio ci sia quando ti serve, il corpo si plasma e si insinua dove fino a poco prima non avresti pensato. Nell’attimo prima di scendere mi volto indietro solo per una frazione di secondo, sono ad uno scalino da terra e vedo l’uomo di prima, quello a cui ho pestato il piede che si alza di scatto e si precipita anche lui verso la porta. L’ho guardato solo per un attimo, il tempo di vedere che si tratta di un uomo di mezza età, brizzolato, con gli occhiali e un impermeabile beige. In quell’attimo mi era quasi sembrato che mi facesse un cenno con la mano. Ma sicuramente non ce l’aveva con me. Riprendo il marciapiede con passo sicuro e spedito. I miei piedi sanno già la strada così posso pregustare la lettura che mi aspetta. Infilo la mano nella borsa quel tanto che basta per accarezzarne la copertina, liscia e lucida. Provo un piacere sottile nel farlo, lo stesso piacere che ti riserva l’attesa di qualcosa di bello, quando già ne pregusti il sapore e sai già che ti piacerà.
Anche se è inverno e soffia un vento gelido sto bene col mio giubbotto di pelle, adoro sentire l’aria fredda che mi sferza il viso. Le scarpe certo non sono comodissime ma il piacere che provo nell’indossarle ripaga di tutto. Dopo 15 minuti di cammino e con il suono dei tacchi sull’asfalto interrotto dai miei pensieri, mi viene di girarmi d’istinto. Sarà che sta facendo buio, eppure non mi ha mai fatto paura la notte anzi; sarà che non mi sento sicurissima su questi tacchi.
Mentre giro l’angolo mi sembra di vedere con la coda dell’occhio un impermeabile beige, proprio come quello del tizio dell’autobus. A questo punto devo guardare. E’ LUI. Mah che coincidenza fa la mia stessa strada, nella mia stessa direzione, è un po’ distante però. Eppure mi sembra che abbia sorriso.
D’istinto accelero il passo, e dopo un po’ sistemo la borsa per guardare dietro LUI che fa. Ha accelerato anche lui, non posso credere che stia seguendo me, mi sembra un uomo distinto.
Vabbè che in giro è pieno di schizzati e maniaci, ma tutti a me no eh! -La paura ha un odore-, ne sono convinta, per questo non devo avere paura, le vittime hanno paura, è solo una coincidenza e questa si chiama PARANOIA. Questa zona della città la conosco come le mie tasche, per questo so che a quest’ora non c’è proprio nessuno in giro, niente, manco un negozio, solo stradoni tristi e lunghi fino a formicai di palazzoni brulicanti di disperazione.
Inizio a correre, come se stessi perdendo un treno, di una corsa leggera come se non avessi le scarpe coi tacchi. Il cuore mi batte forte nelle orecchie, mi pulsa nelle tempie. Mentre corro sento che anche lui corre dietro di me, ma è indietro, non ce la fa raggiungermi, non ce la farà.
Arrivo finalmente ad un palazzone, il portone è chiuso, provo a suonare a caso sui citofoni, qualcuno mi aprirà. Mi guardo indietro non lo vedo più forse non mi ha visto entrare qui. “CHI E’?” finalmente una voce. Ansimante dico “Devo consegnare gli elenchi telefonici, mi apre?” è la prima scusa che mi è venuta in mente. “Ma siamo a febbraio, di solito arrivano verso Aprile”. “signora ho gli elenchi me lo apre o no questo CAZZO di portone?”- Trick. Alla fine l’ha aperto.
Giusto in tempo, il tizio con l’impermeabile beige mi ha visto dall’altra parte della strada e sta attraversando. Ora basta, sarà che ho le spalle contro il muro, che se grido qualcuno prima o poi mi sentirà, sarà che è venuto il momento di capire sto tizio che vuole da me. Lascio il portone socchiuso, e lo aspetto col fiato sospeso nascosta nell’androne dietro la pianta di ficus gigante.
LUI entra guardandosi intorno, ansima anche lui, la corsa lo ha infiacchito non poco.
Gli piombo alle spalle e gli dico “Ma tu che cazzo vuoi da me?” mentre gli assesto un calcio nello stinco. Il tizio cade in ginocchio emettendo un verso di dolore mentre mi tende la mano e mi dice “signorina…” io guardo atterrita pensando ad un coltello, una pistola e invece brandisce il mio portafoglio. “…le è caduto sull’autobus.”

Federica De Angelis – Altri Lavori

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3 risposte a “SCARPE PER CORRERE

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