(Dedicata alle nuove generazioni che cresceranno nel segno della condivisione)
C’era una volta una penna a sfera, di colore blu e col cappuccio, di quelle semplici ma che funzionano sempre bene, e corrono veloci tra le righe piroettando come ballerine. Si chiamava Linda e sapeva il fatto suo, perché si era già figurata che sarebbe diventata famosa. Dal cappuccio sarebbe passata alla molla, poi qualcuno l’avrebbe rivestita di metallo ed infine si sarebbe trasformata in una stilografica di prestigio. Era certa che tutto ciò sarebbe accaduto appena qualcuno le avesse pubblicato il suo primo manoscritto.
Si trattava un malloppone di trecentoventisette pagine che lei si tirava dietro con un carretto improvvisato, una pedana di matite colorate e due gomme da cancellare come ruote. E dire che era una bella faticaccia portarselo sempre appresso, ma lei se lo teneva stretto perché era sicura che l’avrebbe resa famosa, e poi temeva che qualcuno potesse rubarglielo. Ah si, il mondo era pieno di penne gelose pronte a scopiazzare le opere degli altri e a derubarti della celebrità. Ma Linda, come ho detto, sapeva il fatto suo e perciò non lasciava mai il manoscritto incustodito. Ogni mese lo trascinava fino alla fotocopiatrice dall’altra parte dell’ufficio in cui abitava, ne faceva un paio di copie da spedire agli editori e poi lo chiudeva a chiave in un cassetto. Paziente attendeva la risposta dentro il suo portamatite, mentre le sue amiche le chiedevano di raccontare loro la storia che aveva scritto, perché erano un po’ curiose, ma volevano anche incoraggiare la loro compagna scrittrice. Linda però non si fidava di loro e così non si lasciava scappare una sola parola, perché l’idea era solo sua e nessuno gliel’avrebbe portata via.
Passarono i mesi ma gli editori continuarono ad ignorare il manoscritto. Linda però non si dava per vinta ed aspettava. Intanto le amiche incominciarono a perdere interesse per la cosa, che nel frattempo era iniziata la competizione annuale degli appunta-lapis, e il record da battere era dodici punte di matite in un minuto di tempo.
Le giornate si susseguivano noiose. L’autunno era arrivato con le sue piogge, ma ancora nessuna risposta.
Fu in un quieto pomeriggio di dicembre, con l’ufficio semi vuoto perché era venerdì e tutti gli impiegati se ne tornavano a casa prima, che una mano afferrò distrattamente Linda, le tolse il tappo, che lei aveva sempre chiamato “cappello”, e scarabocchiò due righe su un taccuino. Ma non riuscì a terminare la frase che l’inchiostro era finito. Con noncuranza la stessa mano gettò Linda nel cestino della carta.
Nell’oscurità di quel cestino si ritrovò accanto a un vecchio evidenziatore giallo.
– Ehi, ti va di ascoltare una storia? – domandò Linda, con un filo di voce.
– Certo – rispose il pennarello fosforescente. – Ma quanto è lunga?
– Trecentoventisette pagine… ma non preoccuparti – lo rassicurò lei, – abbiamo tutto il weekend a disposizione prima che le donne delle pulizie vengano a svuotare i cestini.
Allora Linda attaccò a raccontare, e mentre raccontava si sentì grande e bella come una stilografica, e felice come non era mai stata. Perché niente è più appagante del condividere con gli altri le proprie storie.
GM Willo – Altri Lavori
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