PER IL RESTO DEL CORPO

Lo spio in lontananza, per non corrergli incontro con le solite scuse. Sono dispiaciuta per averlo lasciato un po’ da solo anche ieri notte, tra le lenzuola del suo letto a fissare il soffitto e le sue umide facce. Non mi manca il corpo, le sue solitudini da appagare,le compagnie ossessive, gli specchi, i costumi e le sue apparizioni. Il corpo mi chiama il resto. Io sono solo l’anima, forse.
Ogni giorno me ne vado via, e lo aspetto mentre lo fisso durante la notte. Adesso per esempio, dà le spalle a un uomo che ha appena finito di mangiare, senza avere avuto mai fame. Il corpo si alzerà all’alba per incontrare me, senza bere quel caffè miracoloso fatto a piedi scalzi e con una nudità che vive innocentemente. Ė la libertà ritrovata: senza la schiavitù di mani che hanno già deciso quale sarà il suo destino o per chi lo preferisce, la sorte nel suo gioco di dadi. Piacere particolare quello del corpo, che sceglie la compagnia di anime morte per sentirsi vivo. Anime che sono sepolte sotto abitudini mentali, eppure riescono a generare figli smemorati; hanno dimenticato il reale valore di un luogo come il letto dove il sogno è benedetto, come la notte dismessa di abiti e costumi. Sei quello che vorresti essere, in un qualunque mondo dove puoi scegliere ancora. Io come resto e parte che non dorme, lo guardo nel buio sforzarsi per non chiudere le palpebre, masticando una gomma mentre gli uccelli se la spassano in cielo e quell’uomo dorme. Insonnia.

La musica di una fisarmonica penetra dolcemente nella pace del suo letto pizzicandogli il cuore, è ora. Il nostro ennesimo appuntamento. Ma l’alba oggi mi ha inseguito e ho chiesto al corpo di aspettarmi, seduto in un bar con le tende gialle e tavolini brulicanti di fiori. Sono andata al mare, muovendo le braccia come un uccello che si sporge nel vuoto, ho osservato le luci brillanti delle case in lontananza e i loro odori speziati diventare un idea riposante impressa in un sonno ad occhi aperti. Il corpo è lontano, fuma sigarette e gioca con i bicchieri che si avvicendano sul tavolo. Le macchine lo sfiorano ad alta velocità suonando il clackson e accecandolo con i fari. Ma qui, dove sono io, il mare brilla tranquillo. Il buio. Dentro le luci che lo movimentano a tratti.
L’aria calda ha cambiato l’atmosfera, l’acqua alleggerisce le ossa di altri dalle coperte polverose, le lenzuola di cotone stese sui letti si spostano e si gonfiano libere tra sospiri e scirocco. Se ci fosse stato lui avrebbe ispirato; avrebbe visto il sole aprire le case come scatole dai balconi fioriti e le donne svegliarsi cantando, incontrandosi dopo sui balconi tra fragole e caffè.
Oggi poi il giorno sembra che abbia una sensibilità attenta, si avventura nell’impressione di un domani, con mani intelligenti capaci di far crescere il pane e i bambini: i bambini sono quelli che corrono per strada indossando per gioco maschere con i buchi per guardare e respirare. Respirano odori sottili, come scale verso piacevoli ricordi: familiari, allegri e coraggiosi. Loro sanno leggere i volti, riconoscere il vento in piena faccia che nel tempo scaverà buche da accarezzare con le dita, ma senza solitudini lagnose né oscuri mal di vivere. In questo quadrato di terra, gli oggetti non si possiedono, le anime non si vendono e i corpi non si sprecano. I suoi stessi contorni si dichiarano intensi, cercando salvezza nella luce che si diffonde ma non invade. Anche i pensieri si fanno passi, attimi che sfiorano istanti, che invece seguirebbero la linea della sua mano fino a stenderla come lo schiudersi delle labbra.
Il vento cala , il corpo a quest’ora sarà andato via. Si sarà sentito solo senza di me che oggi sono durata un attimo. Senza il resto e le sue profonde compagnie non c’è più nessuna danza macabra da applaudire svogliatamente. Rimango qui dove vorrei che fosse anche lui. Cerco compagnia ed il mare in questo è uno stregone, se riesci a toccargli il fondo poi mentre risali ti fa vedere la luce in superficie. Allora poi, non hai paura di annegare, vivi e rivivi, ogni volta; e toccata terra porti di lui la serietà del nero profondo, dove non si vede nulla eppure esisti.
Il suo cuore nascosto, inavvicinabile, è tutta anima che si rinnova e nella sua grandezza nessuna idea. Nessuno che conosco che saprebbe dargli un nome. Perdiamo il suo senso: il mare conosce la morte così bene da non aver bisogno di dirti niente per tenerti vicino; può darti tutto perché o con te o senza di te rimane inesauribile. Il mare si autorigenera e il suo sguardo ti chiede solo una cosa in cambio: l’attenzione.
Penso al corpo. Lui, per allungarsi la vita come una molla sarebbe già pronto all’ennesima mia contrattazione. Venduta a pezzi in un gioco di equilibri. Prendere senza svuotare. Dolcemente sola, durando un’ attimo. Sono sua, sono ciò che resta dell’anima. L’aria calda ha cambiato l’atmosfera, lui adesso avrebbe espirato, lontano, aprendo gli occhi nella città sveglia. La luce è emersa tra le ombre, che fuggono lungo i muri dissolvendosi nelle vetrine dei negozi.
Io non torno.

Miriam Carnimeo – Altri Lavori

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