Tra i cassonetti ed i luridi vicoli della città viveva Beppino, un gattino tigrato magro magro, con gli occhi gialli come la luna e quattro zampine rapide che lo facevano zampettare a destra e a sinistra, su e giù e poi ancora di lato, e non c’era randagio o altro felino della città che riusciva mai a stargli dietro. Infatti Beppino era probabilmente il mammifero più veloce di tutto il paese, che era un paese moderno, fatto di cemento e d’acciaio, e gli animali esotici come la pantera o il ghepardo se ne stavano nelle gabbie degli zoo, con i musi mogi appoggiati sulle zampe anchilosate. Beppino, appena vedeva un topo, gli balzava addosso, ma di solito non se lo mangiava, perché l’appetito era l’ultimo dei suoi interessi. Gli piaceva però correre, e allora a volte dava al topo un po’ di vantaggio e poi gli andava dietro, saltava, slittava, si arrampicava per i muri e sulle tegole dei tetti fino ad avercelo proprio sotto, ma se non era l’ora di pranzo lo lasciava andare miagolandogli “Ti è andata bene topolino, oggi non ho fame…”
A Beppino piaceva così tanto correre che a volte lo vedevi andare dietro alle auto e spesso le raggiungeva e superava, tanto andava forte. Un giorno però successe una cosa brutta. Stava rincorrendo un taxi su una corsia preferenziale, un gioco da ragazzi dato che sul quel tratto stradale il limite di velocità era trenta chilometri orari, e come si sa i tassisti rispettano sempre le regole della strada. Beppino raggiunse il taxi con lunghe falcate. La donna che sedeva sul sedile posteriore del veicolo si sporse dal finestrino per guardare meglio quel gattino. Aveva in braccio un chiuaua che appena vide il felino saltò giù dal finestrino per rincorrerlo. Beppino non lo vide e continuò a correre davanti al taxi, la donna urlò disperata ma nel rumore del traffico nessuno la sentì. Quando un semaforo rosso segnò la fine della corsa, Beppino rallentò e il chiuaua gli fu addosso. Non che avesse paura di un misero cagnolino rinsecchito, ma la sorpresa di trovarselo alle spalle gli fece fare un balzo fin dall’altra parte della carreggiata, dove un auto lo colpì di striscio mandandolo a finire sul marciapiede. Beppino provò a rialzarsi e si accorse che c’era qualcosa che non andava. Una zampina si era rotta e gli faceva un male tremendo. Ma Beppino, nonostante gli fossero rimaste solo tre zampe, si mise a correre, e correva sempre più velocemente del chiuaua che si lasciò dietro in quattro e quattr’otto. Il dolore si fece un po’ più sopportabile e se ne tornò a casa, ovvero sotto il viadotto che univa il centro della città con la periferia industriale. Stanco e sconsolato, si addormentò subito. Il giorno dopo guardò quell’appendice pelosa attaccata al suo corpo, provò a muoverla ma non successe nulla, e allora capì che non avrebbe mai più potuto usare quella zampina. La disperazione lo colse. Provò a fare due passi ma riuscì a malapena a uscire dalla sua tana. “In queste condizioni non durerò neanche due giorni”, pensò scoraggiato, e si mise a piangere. Un corvo che se ne stava appollaiato sulla ringhiera del viadotto udì quel miagolio disperato. Incuriosito, svolazzò verso quel suono e si trovò davanti il gattino.
– Che succede? Cosa c’hai da piangere? – domandò il corvo, che era un signore importante con un accento strano, probabilmente del nord.
– Oh, sono proprio un disgraziato. Ieri un’auto mi ha investito e adesso non riesco più a camminare. Guarda la mia zampa come sta… – rispose Beppino, continuando a miagolare di disperazione.
– Oh, è proprio un bel guaio. Raccontami come è andata… – chiese allora il corvo, che si chiamava Freddy. Così Beppino raccontò per filo e per segno la sua avventura con il taxi ed il piccolo chiuaua, ma poco prima di finire il corvo lo interruppe.
– Aspetta un po’, mi stai dicendo che dopo che ti sei ferito hai seminato il cane che ti dava la caccia e sei riuscito a tornare a casa senza problemi? Allora puoi camminare! – affermò l’uccello.
– Ma no, non ce la faccio…
– Certo che ce la fai. Su, muoviti!
– Ma no. Mi fa male…
– È solo nella tua testa. Muoviti, lumacone! – A quella parola Beppino, che era stato il gatto più veloce della città, alzò la testa e le orecchie, poi fece un balzo verso il corvo, che nel frattempo si era alzato in volo.
– Hai visto che puoi camminare, e saltare, e zampettare lo stesso… – gli disse Freddy, gracchiando da sopra la ringhiera.
Beppino se ne stava in piedi su tre zampe, che non era proprio il massimo ma era sempre meglio di niente. Il corvo aveva ragione. Era la paura di non riuscire più a camminare che lo bloccava. Adesso non era più arrabbiato con l’uccello.
– Grazie corvo. Grazie di tutto! – disse.
– Di niente, felino. Ma stai attento adesso, che con tre zampe puoi ancora correre e saltare, ma se un giorno te ne ritrovassi solo due, per quanta fiducia in te stesso tu possa avere, non sarà molto ciò che potrai fare.
GM Willo – Altre favole
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