SOLO FINO A UN CERTO PUNTO – VI

 

di Bruno Magnolfi, immagini di Giulia Tesoro

…continua da venerdì

Continuo a svegliarmi presto, al mattino, e a cercare una dimensione così intima e personale da non permettere ad una qualsiasi insidia, neanche ad un piccolo rumore accidentale, di disturbarne l’equilibrio. In un attimo, nel silenzio della notte, sono cosciente di essere sveglio, e all’improvviso tutto quello che poteva essere fino ad un attimo prima pura fantasia di sogni e di pensieri fantastici, si trasforma in una dura realtà data dai numeri luminosi della mia radiosveglia, e dal tempo che mi resta fino al distacco inevitabile anche da questa ovattata realtà, quando ineluttabilmente dovrò affrontare la giornata e i miei soliti impegni. Allora chiamo a raccolta le mie piccole certezze di ogni giorno, usufruisco delle mie residue frangiature fantastiche a cavallo tra il sogno finale e la mia prima razionale riflessione, e inizio a crogiolarmi nei miei usuali pensieri costellati di immagini e personaggi consueti e rassicuranti.
Credo sia qui che riesco a trovare tutte le energie che mi servono per affrontare in modo degno le difficoltà della giornata, anche se a volte mi chiedo se le complicazioni che registro durante le ore del giorno, non siano proprio loro a trasmettermi l’energia necessaria ad avere, durante l’unico momento della mia vera intimità, tutti i pensieri che servono per sentirmi vero e in qualche modo unico.
Mi chiedo perché dovrei sentirmi unico, diverso da altri, dagli altri colleghi dell’ufficio, per esempio, oppure da qualcuno dei miei vicini di casa che a volte mi sembrano, quasi per gioco di parole, così distanti e lontani dai miei modi di essere e di pensare. Qualche volta ho riflettuto che probabilmente tutti quanti provano, dentro loro stessi, sfaccettature più o meno incomplete di ciò che io provo, ma anche se ciò è vero, accade con un diverso grado di immedesimazione in ciò che a me passa per la mente, e già questa è ineluttabilmente una diversità incommensurabile.
Così mi pare che molto difficilmente qualcuno possa assomigliarmi, ed anche questa riflessione, pur accarezzando vagamente il mio ego, mi lascia un senso di solitudine e di isolamento. Certamente continuo a pensare profondamente che similitudini tracciate sulla riga della sensibilità e del rapporto profondo con le minime cose di ogni giorno, devono per forza di cose trovare in altri, simili modi di comportamento; però è la difficoltà concreta e profonda nel riuscire a dare tracce di sé in chiunque nutra un modo di essere e di pensare simile al mio, che crea la difficoltà più forte ad avere contatti.
In fondo non ritengo di avere bisogno degli altri, almeno non di quelli con cui non trovo praticamente niente di cui sentirmi somigliante; e coloro che potrebbero essere come me, o avvicinarsi molto ai miei modi di essere e di pensare, mi incutono paura, meglio sfuggirli.

Stamani mi sono svegliato sognando di trovarmi nella stessa posizione in cui ero veramente. Ho aperto un occhio ed ho pensato che forse stavo sognando di essere sveglio, in attesa dell’ora per alzarmi. Ma se, come si dice, i sogni sono, o dovrebbero essere, evasione dalle consuetudini e dalla realtà ordinaria, per quale motivo, mi chiedo, a me succede quasi il contrario?
Mi sono tirato su nella fioca luce della mia camera da letto, ed ho intravisto il mio cane che continuava beatamente a dormire nel suo solito angolo: per un momento ho invidiato il suo disinteresse per i problemi esistenziali, poi ho scostato le coperte ed ho cercato le mie pantofole.
In cucina l’oscurità profonda della notte, di là dai vetri della finestra, lasciava un lieve spazio ad un’alba ancora lontana e costellata di grandi nuvoloni che si immaginava a malapena nel contrasto della profondità scura del cielo. Ho versato il mio latte e l’ho addolcito con lo zucchero. Poi mi sono seduto al tavolo.
Non c’era niente di speciale in tutto quello che stavo facendo, un inizio di giornata esattamente identico a mille altri assolutamente intercambiabili tra loro, una serie concatenata e meccanica di operazioni così masticate e decantate sino a farne uno strato di roccia geologicamente inattaccabile, marmo o granito così compatto e antigraffio da risultare neppure lavorabile. Eppure, nonostante tutto questo, mi sentivo bene, ero contento.
Impossibile a volte chiedersi il motivo di certi stati d’animo, anche perché il rischio finale potrebbe anche essere quello di non riuscire a prolungarne gli effetti, ad interromperli insomma, lasciando un’amarezza e un disagio ancora più inspiegabili. Così, con gli occhi nel piccolo vortice che il movimento rotatorio del cucchiaino provocava dentro al latte, pensavo a come far sprigionare da me quella mia voglia di ridere e di essere contento, anche se pareva una ricerca inutile.
Poi mi sono vestito in fretta e sono uscito. Fuori era quasi chiaro, e assieme al mio cane che continuava ad annusare l’aria e qualsiasi cosa esistente, sono scivolato lungo il marciapiede noto. Nella penombra del cortile c’era la bicicletta. L’ho osservata per un lungo attimo, cercando di immaginarmi la ragazza mentre stava pedalando, poi, in un attimo, ho preso una decisione dalla quale, pensavo, non sarei mai più tornato indietro. Sarei andato ad aspettarla, una di quelle sere, sarei rimasto sul marciapiede tutto il tempo che sarebbe occorso, e poi le avrei fatto un cenno, le avrei parlato, le avrei spiegato tutto, di me e di tutto quello che mi passava per la testa.
Mi sono sentito leggero allontanandomi da lì, ed ho immaginato con forte realismo la scena in cui lei avrebbe alzato gli occhi dalla strada e dalla bicicletta, e dapprima con serietà, poi allargandosi in un sorriso delizioso e spontaneo, avrebbe ascoltato le mie parole e le mie confidenze. Probabilmente non avrebbe detto nulla pur rimanendo colpita e favorevolmente sorpresa di quella improvvisa conoscenza, poi mi avrebbe detto il suo nome ed io mi sarei sciolto dentro a quel dolce suono.

Continua domani

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2 risposte a “SOLO FINO A UN CERTO PUNTO – VI

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