SOLO FINO A UN CERTO PUNTO – X

di Bruno Mgnolfi, immagini di Giulia Tesoro

…continua da venerdì

E’ già qualche giorno che sto sperimentando un comportamento molto interessante. Come sempre mi sveglio molto presto al mattino, spinto da qualcosa al mio interno che non riesco a controllare. Rimango lì, a rigirarmi nel buio della mia camera da letto e ad osservare accanto a me la radiosveglia coi suoi luminosi numeri rossi. Lascio scorrere i pensieri, chiudo gli occhi e cado in un dormiveglia assurdo in cui perdo cognizione del tempo pur conservando la coscienza di essere lì, esattamente dove mi trovo.
A volte riapro gli occhi ed è passato appena un minuto o due; altre volte il tempo scorre estremamente più veloce, e in un attimo se n’è andata mezz’ora o anche di più. E’ quasi diventato un gioco per me entrare in questa fase del risveglio definitivo. I miei pensieri sono veloci, confusi, e vanno via per loro conto, lasciandomi ansimante a rincorrerli, ed appena riapro gli occhi svaniscono tutti, immediatamente.
Il mio capoufficio ha fissato un colloquio con me per domani. Mi sono sentito morire quando mi ha avvertito, forse per la paura di aver combinato qualche errore nello svolgere il mio lavoro, o per qualcosa di cui dovermi spiegare, o dispiacermi, pentirmi di aver provocato disservizi. Poi, lentamente, ho digerito la cosa come un qualsiasi elemento del mio lavoro, ritrovando l’indifferenza di ogni giorno.
Anzi, ho pensato, probabilmente ci sono elementi nuovi di cui devo cominciare ad occuparmi, e forse devo essere avvertito di alcuni comportamenti da tenere, informazioni delle quali tenere conto, chissà. Sono quasi contento che qualche variazione venga a rompere la monotonia delle mie giornate di lavoro.
Certe volte ho pensato che fosse proprio il mio lavoro a spaventarmi, a non farmi dormire bene, a farmi svegliare sempre troppo presto al mattino. Ma poi ho deciso che è impossibile, non ci può essere alcuna relazione tra una cosa e l’altra. Il mio sonno ha una sua natura propria: è così indipendentemente da qualsiasi altro elemento. Mi consolo e mi affeziono sempre più al mio dormiveglia quotidiano. Non sono mai troppo stanco, non sento particolarmente questo problema. Anzi, la mia voglia di dormire e riposarmi certe volte mi sembra sia in funzione di ritrovare quello stato di strana veglia che ogni mattina si ripropone.
Tutto questo mi è parso più che ragionevole in questi ultimi giorni, ho pensato che anche i miei genitori non avrebbero avuto nulla da dissentire, ma poi, stanotte ho fatto un sogno. Tutto è iniziato come i miei sogni di sempre, con una mia leggera apprensione spiegata da situazioni poco chiare, quasi confuse. Mi ritrovavo su una strada serpeggiante sopra ad una scogliera a picco sopra al mare. Era notte ed un treno lentissimo e malandato mi aveva scaricato in una zona che non conoscevo affatto.
Alcuni ragazzi che stavano dalla mia parte mi avevano spiegato da cosa guardarmi, ma non era molto chiara né la nostra strategia, né quella degli altri. Si diceva che forse ci sarebbe stato uno sbarco, forse c’era già stato, non si sapeva che pensare, fatto certo era che si vedevano distintamente delle luci sul mare neanche troppo lontane, e al disopra, più in lontananza, aerei veloci che si incrociavano con traiettorie inconcludenti.
Eravamo tutti quanti scesi dal treno presso una vecchia stazione in disuso, e sulla strada si era fermata immediatamente una vecchia grossa auto di marca incomprensibile. Eravamo saliti sopra tutti quanti, strizzandoci un po’ sopra ai sedili, ma dopo poche centinaia di metri eravamo di nuovo fermi presso una piazzola di terra battuta. I ragazzi velocemente parlavano tra loro senza che io riuscissi a capire la situazione, poi quello che guidava si rivolgeva a me dicendomi di scendere lì, che loro sarebbero tornati più tardi, o avrebbero mandato qualcuno, di stare attento comunque, di non fidarsi di nessuno.
La macchina ripartiva sollevando polvere e lasciando nell’aria un forte odore di benzina e olio mal bruciati ed io mi ritrovavo solo, al margine di una strada non frequentata, nella notte rischiarata da una luna velata da nuvole che si rincorrevano veloci. Guardingo andavo avanti, in fondo senza neppure sapere se era quella la direzione giusta, cercando di tenermi fuori dalla strada, il più possibile a ridosso di una recinzione rugginosa e in qualche caso anche divelta, di là dalla quale si intravedeva un bosco di alberi radi.
In un punto poi la recinzione arretrava dalla strada ed io andavo ad infilarmi in un angolo protetto da cespugli. Avevo intravisto degli uomini che camminavano ognuno per proprio conto e mi avevano fatto nascere qualche sospetto: adesso avevo bisogno di starmene immobile e capire. Poi, con calma aprivo la sacca che mi avevano dato i ragazzi prima di andarsene e della quale mi ricordavo solo adesso. Dentro c’era una piccola balestra di precisione ed un fascio di sottili frecce, e quest’arma così insolita e insidiosa mi faceva subito sentire più tranquillo.
Intanto dentro al bosco si vedevano le luci di alcune torce elettriche che sondavano il buio, e capivo che lo sbarco doveva già essere avvenuto. Uno degli uomini mi aveva visto e con un fucile in mano si stava avvicinando. Mi coglieva il panico solo a vedere avanzare verso di me questa figura risoluta, e scagliavo con mani tremanti una prima freccia che si perdeva nel buio. L’uomo si fermava e dava il segnale agli altri dalla parte opposta da dove mi trovavo. In un attimo ero braccato e mentre cercavo di ricaricare la balestra sentivo alle mie spalle che qualcuno parlava nervosamente e a voce alta per organizzare un piano contro di me.
Nella concitazione di poche frazioni di secondo, saltavo fuori dai cespugli tirando una freccia quasi a caso, e mentre correvo via mi rendevo conto di aver colpito un uomo. Continuavo a scappare a perdifiato lungo la strada sopra la scogliera, costeggiando dei margini fortunatamente molto cespugliosi, mentre avvertivo gli uomini dietro di me che mi braccavano con l’aiuto anche dei cani. I latrati mi facevano sentire disperato, e continuavo ad inciampare con il fiato agli sgoccioli mentre mi sentivo tutti addosso.
Proprio quando stavo per cadere e per lasciarmi andare a ciò che sarebbe accaduto, l’auto dei ragazzi si fermava accanto a me in una nuvola di polvere, ed in due o tre, in una frazione di secondo, mi prendevano di peso gettandomi all’interno della vettura in malo modo, appena il tempo per chiudere le portiere e ripartire. Un attimo e via, ero salvo, ma in balia di una situazione incontrollabile e pericolosa.
Poi una sospensione senza tempo si era materializzata dentro di me. Mio padre e mia madre mi avevano camminato accanto senza guardarmi, senza espressione, ed io mi ero sentito ignorato. Non riuscivo a capire cosa dovessi fare: qualcosa di importante sicuramente mi sfiorava, ma non riuscivo a coglierne né il senso né il grado. Avrei voluto essere solo, ma capivo che era impossibile.
Il mio risveglio era impellente, era come ne sentissi il lento approssimarsi, pur continuando a ritardare qualsiasi eventualità. L’ondeggiare del tempo adesso era un elemento della coscienza, quasi un fastidio la sua mancanza di controllo. Avrei voluto continuare a sognare, trovare degli elementi su cui far ruotare le mie esperienze, le mie fantasie, tramite i quali convogliare i miei pensieri verso qualcosa di innocuo, quasi di cosciente. Alla fine mi svegliavo, ed era una delusione ritrovare tutto uguale.

Continua

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2 risposte a “SOLO FINO A UN CERTO PUNTO – X

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