EROE PER SCOMMESSA IV
di GM Willo
Dall’altra parte del tunnel Numeon trovò il garzone dell’osteria, per niente sorpreso della sua apparizione. Era poco più di un bambino, vestito di stracci e decisamente poco pulito. Il suo compito era quella di stare di guardia al cunicolo sotterraneo e alla porta dalla quale si accedeva alla cantina del Corvo Stridulo. Il mago udì distintamente il vocio degli avventori al piano di sopra, che a quell’ora dovevano aver abbondantemente occupato tutti i tavoli della taverna.
– Buonasera signore, Lion è qui per servirla – dichiarò il ragazzo, mettendo mano al mazzo di chiavi che aveva legato alla cintura. Mentre armeggiava col chiavistello della porta, continuò – Se al signore serve qualche cosa di particolare; un posto per la notte, una bottiglia di Yoka, o magari un po’ di compagnia…
– Grazie, sono a posto – tagliò corto Numeon, ed infilò la porta appena questa si aprì, raggiunse la scala che portava al piano di sopra e si confuse con la gente che ordinava da bere. L’aria pesante da taverna gli riempì i polmoni e lo fece sentire subito più tranquillo, anche senza il suo cappello. Quell’aria l’aveva respirata fin dal giorno in cui aveva smesso di farsi la pipì addosso. Suo padre era stato un cercatore d’oro, aveva viaggiato molto ma non aveva avuto fortuna. Con le poche pepite racimolate in anni di ricerca, aveva deciso di fermarsi e mettere su famiglia. Aveva comprato una taverna e aveva fatto l’oste fino alla fine dei suoi giorni, che non furono neanche tanti. Pace all’anima sua, pensò Numeon. Comunque lui c’era nato dentro quella taverna, e ogni volta che si sentiva circondato dal profumo dello stufato che veniva dalle cucine, mischiato all’odore delle botti di birra e del tabacco da pipa, gli pareva di essere a casa. Una voce nella testa gli disse di restare, di ordinare una birra, di mettersi comodo, di non immischiarsi negli affari di palazzo. In fondo che cosa c’aveva da guadagnare lui. Il mistero del ragazzo aveva probabilmente a che vedere con le questioni di sangue della famiglia reale. Forse era un figlio bastardo del vecchio re, e di conseguenza fratellastro della regina. Ci aveva già pensato a questa eventualità, però qualcosa gli diceva che c’era di più. Ma non era stata questa la scintilla che lo aveva spinto ad entrare nella capitale di soppiatto, la notte in cui l’intera guardia reale gli stava dando la caccia. La questione del ragazzo era qualcosa di secondario ormai. Numeon non sopportava l’affronto di Aliana. Lo aveva usato per recuperare il ragazzo, ben sapendo che non esistevano in città maghi più esperti di lui, e poi aveva sguinzagliato i suoi cavalieri per riportarlo nelle celle del castello. Lui aveva rispettato i patti mentre lei lo aveva ingannato, e questo a Numeon non andava giù. Chi si credeva di essere quella ragazzina, pensava mentre si faceva largo tra i commensali. No, avrebbe chiuso la questione quella notte, era ormai diventata una scommessa con se stesso.
A malincuore si lasciò la taverna alle spalle. Cercò di calzarsi il cappello per evitare che il vento che si era alzato glielo portasse via, ma si accorse a malincuore di non avercelo più. Guardò in alto e annusò il vento che nel frattempo aveva portato le nubi del nord. Quella notte una tempesta si sarebbe abbattuta sulla capitale, la poteva sentire nell’aria. Si diresse deciso verso la biblioteca, che a quell’ora era già chiusa, ma quello sarebbe stato l’ultimo dei suoi problemi. Entrare e uscire dai luoghi chiusi era una delle sue specialità. Facendo attenzione a non essere notato, scavalcò il cancello del giardino della scuola di magia, la stessa dove sia lui che Aliana avevano ricevuto i diplomi di divinatori, e attraversò con ampie falcate il viale alberato che divideva in due la struttura; da una parte vi era la scuola, un largo edificio con una torre centrale, dall’altra la grande biblioteca cittadina, una massiccia struttura in pietra edificata almeno un secolo prima della scuola. Le sue finestre erano basse e prive di inferriate. Grazie a un semplice incantesimo fece girare la maniglia di una vetrata e con un salto penetrò all’interno dell’edifico. Adesso però veniva la parte più difficile. Non erano i libri che occupavano gli scaffali del piano terra e di quelli superiori che destavano il suo interesse. Si trattava perlopiù di testi di scuola, scienze divinatorie, storia delle pratiche occulte e così via. I tomi antichi, quelli in cui dormivano i segreti dell’antico impero, erano nascosti al piano inferiore, nei sotterranei della biblioteca. C’era stato soltanto una volta, per concessione di un vecchio professore che lo aveva preso in simpatia. La porta per accedervi era una larga pietra circolare che per traslare di lato aveva bisogno delle giuste parole. Non un semplice incantesimo che probabilmente Numeon avrebbe saputo aggirare, ma un codice segreto decretato dalla regina. Il mago credeva di sapere quale erano le parole. Tutta la missione che si era prefissato dipendeva da quell’intuizione. Se esisteva una risposta al mistero del ragazzo, doveva per forza trovarsi nei sotterranei della biblioteca.
Trovò facilmente le scale che scendevano al livello inferiore. L’ultima volta che era entrato in quell’edifico era poco più di un ragazzo, ma poteva contare su una memoria visiva eccezionale. Fino alla rampa era riuscito a vedere grazie alla luce dei lampioni della strada che entravano dalle finestre dell’edificio, ma oltre i primi gradini le tenebre diventavano quasi solide. Numeon accarezzò delicatamente la canna del suo moschetto, sussurrando qualche parola. Il nero ferro dell’arma incominciò ad emanare un lieve chiarore che dissipò le ombre. Velocemente il mago scese la rampa e procedette deciso lungo un ampio corridoio alla fine del quale si trovava l’accesso alle biblioteca segreta.
L’ora della verità, pensò sorridendo. Con la mano cercò la falda del cappello, un gesto portafortuna, ma rimase nuovamente ingannato. “O tutto o niente” si disse a bassa voce, poi enunciò le parole segrete che aveva pensato: “Ailes Ihao Tairnan”. La Lingua Morta, quella che di solito veniva usata per codici e formule segrete, non era mai stata il suo forte. Sperava che la pronuncia fosse quella giusta. Il significato di quelle parole era invece fin troppo chiaro “L’antico sangue scorre”.
Non successe nulla. Numeon provò alcune varianti della frase, invertendo l’ordine delle parole, ma niente fece muovere la grossa pietra. La frase apparteneva alla famiglia di Aliana da secoli. Discendeva direttamente da una delle due grandi dinastie dell’Impero, la famiglia Senyan. Ai nobili piaceva ricordare i vecchi tempi, i fasti dei grandi palazzi reali e i costosi ornamenti dei templi dedicati agli dei, mentre la memoria della sofferenza inferta ai più deboli andava col tempo svanendo. La parola di quelle generazioni che avevano vissuto di persona le violenze dei vecchi governanti, si era indebolita nei cuori dei loro discendenti. Il popolo rincominciava a cantare le gesta dei grandi eroi del passato, Eonosse dall’elmo dorato, che usava cavalcare in testa al grande esercito che con la forza sottomise tutte le province, l’altissima sacerdotessa Cleati, vestita di perle e lamine argentate, chiamata anche la “Bocca degli Dei”, il principe Audar, bello come il sole e forte come un cavallo. Ma la verità era ben diversa da come la presentavano i menestrelli di taverna. Per secoli le due famiglie reali avevano schiacciato il popolo con le tasse e con la forza, solo per soddisfare i loro meschini bisogni. Certo, si cantavano anche le gesta di Sanildor il rivoluzionario, colui che iniziò la rivolta contro le due famiglie, grazie soprattutto a quella parte dei Senyan che stava col popolo e voleva cambiare le cose. Senza l’aiuto del trisnonno di Aliana, Womil Assarris, Sanildor ed i suoi non sarebbero mai riusciti a dare scacco alle due famiglie reali. Fu così che la famiglia di Aliana andò al potere, un ruolo più di facciata che altro. Il sistema si confece alle necessità del popolo. Fu istituito un governo composto da venti consiglieri eletti dalle gente, e il ruolo della famiglia regnante divenne marginale. Le province riunite sotto l’impero tornarono ad autogestirsi come avevano fatto per secoli prima che le due famiglie reali le conquistassero. Ci furono delle scaramucce, ma il popolo incominciò a vivere molto più dignitosamente. Malgrado ciò, già dopo un paio di generazioni, il potere della famiglia Assarris crebbe. I consiglieri del mandato di re Ilfor, padre di Aliana, pendevano tutti dalle sue labbra. Ilfor era un uomo fiero, ma non cattivo. La gente lo amava e gli avrebbe concesso tutto, ma lui non si fece corrompere da tali adulazioni. Però le cose potevano sempre degenerare, e la giovane Aliana non sembrava avere la stessa forza del padre. Prima o poi il popolo, lo stesso che aveva sofferto sotto il piede dei nobili dell’impero, avrebbe riconsegnato il potere sovrano nelle mani di un’unica persona.
Numeon pensò a tutte queste cose, nella disperata ricerca di una formula che potesse aprire quella porta. Provò svariati codici ma niente sembrò funzionare. Era stato avventato e anche un poco ingenuo. Aveva rischiato la libertà per nulla, e adesso doveva anche un monte di soldi a mastro Jarod. E tutto a causa di un ragazzo che nascondeva qualche mistero… il ragazzo, ma certo… “Itarcya Winae”, disse sottovoce; “Il Segno dell’Ancora”. La pietra si mosse senza produrre alcun rumore. L’aria viziata della biblioteca segreta investì il mago che arricciò il naso. Numeon si mosse veloce alla ricerca di ciò che voleva, i simboli delle due grandi casate. La stanza era un semplice allargamento del corridoio, le cui pareti erano ricoperte di libri, protetti dentro scaffalature in noce munite di ante a vetri. Aiutandosi con la luce magica che brillava freddamente sulla canna del suo fucile, Numeon scorse velocemente i titoli dei tomi, fino a fermarsi poco oltre la metà del loculo. “Eccolo”, sibilò. Poi aprì lo sportello della libreria ed afferrò un grosso volume con una copertina chiara. Lesse con avidità le prime pagine, poi andò avanti, cercando con destrezza, come solo un mago sapeva fare. Metà della sua vita l’aveva passata nelle taverne, ma l’altra metà era rimasto piegato sui libri. Un sorriso gli si aprì come un taglio sulla faccia. “Allora è questo che cerchi, bambina…” sussurrò, riferendosi ovviamente alla regina.
Poi udì dei rumori distinti che venivano da sopra e con un gesto spense la luce, sprofondando in un’oscurità solida.
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