di Anna Lamonaca
L’unica cosa che posso dire a nostra discolpa è che eravamo giovani.
Giovani di quella gioventù pura, che ti impedisce di aver paura, ti fa osare e ti fa vivere con quel fuoco dentro portandoti a perdere la ragione.
Eravamo giovani e sfrontati, giovani e belli, irrazionali, irriverenti peccatori, incoscienti del futuro, del destino, dei giorni che scorrono via senza che tu possa fermarli.
Giovani e pieni di ideali, ascoltati, dettati da chi? Da cosa? Dalla ribellione verso una vecchia generazione di uomini e donne venuti al mondo prima di noi.
Che cosa cercavamo? Che cosa volevamo? Niente e nulla se non un brivido che ci facesse sentire vivi in un mondo di uomini morti e senza personalità.
Stanchi di essere come i grandi volevano e “Grandi” soltanto per la voglia di sputare in faccia al mondo la nostra rabbia, il ribrezzo per i sogni infranti, i desideri corrotti, distrutti per chi vive nel mondo della piccola periferia operaia.
Era l’estate del 1990 quando accadde la cosa che cambiò la mia vita e quella di molti altri come me.
Avevo appena compiuto vent’anni, Luca ne aveva diciotto e Andrea era molto più grande di noi, aveva ventisette anni, ma nella testa se ne sentiva dieci in meno. Era un sabato sera, avevamo appena finito il nostro turno in fabbrica, stanchi e sporchi dopo un’intera giornata di lavoro, ci eravamo recati alle docce per prepararci a trascorrere un’intera serata di sballo totale in qualche locale del centro di Milano. Eravamo eccitati, nervosi, irrequieti perché sapevamo che il sabato notte rappresentava l’unico sfogo alla nostra banalissima vita, la notte del sabato per prendere a pugni il mondo, calciarlo, berlo in un bicchiere, ingoiarlo e poi magari vomitarlo sul bordo di qualche marciapiede o sulle lenzuola profumate di una bella squinzia conosciuta per caso vicino a un bar. – “Stasera che si fa? Si va a sballarsi al Magic?”- Disse Luca lanciandomi il barattolo del bagnoschiuma. Andrea intonava il tormentone del momento e annuiva muovendosi goffamente insaponandosi i capelli e urlando “E’ il meglio!!!”- In realtà per essere davvero alternativi il sabato sera dovevi andare al Magic perché lì trovavi di tutto: dal figlio di papà con maglioncino griffatissimo, alle ragazze della Milano bene, ai grandi del rock mondiale, al capo della “mala” e alla tipa con la voglia di emergere, gay, lesbiche, trans e figure variopinte di ogni tipo, insomma lì dentro si trovava il mondo, ben amalgamato e si stava benissimo. -Stasera al Magic c’è la Paola con le sue amiche, sai che sbattimento!!! – Ma daiii pirla che le fai l’occhietto, in un secondo chiama Nik, siamo dentro e poi ce la spassiamo!-
Balzammo fuori dalle docce, furenti, con i capelli bagnati, infilammo i nostri jeans e le t-shirt griffate, tra i capelli un po’ di gel e ci lanciammo nella macchina di Andrea una Lancia Dedra modificata. Eravamo su di giri, l’autoradio a palla con “Baby Baby di Corona” correndo come i matti nella notte.
Cantammo e tracannammo birra fin dall’inizio della serata, Luca rideva e gustava una Du Demon ghiacciata. Parcheggiammo vicino ad un piccolo parco disabitato, l’aria era fredda, umida e tra una sigaretta e l’altra, ci avviammo verso la discoteca. Il freddo di Milano era palpabile, la nebbia fitta, il rumore dei nostri passi risuonava frenetico sul selciato. Muti, stranamente silenziosi, stretti nei nostri giubbotti bomber, occhi bassi e respiro fumante, marciavamo a passo svelto nella notte mentre un’altalena cigolava, ma era vuota. La scarpinata ci aveva riscaldato, arrivati a destinazione in men che non si dica ci mettemmo in fila per entrare. La coda estenuante all’ingresso e al guardaroba avrebbero fatto indietreggiare anche il più grande degli appassionati, ma quando poi ti ci ritrovi dentro, di nuovo la gioia ti penetra fino al midollo e ti fa dimenticare le spinte vicino al bancone, il dolore ai piedi pestati e alle costole, ed è questo forse l’incantesimo più grande del Magic: questo essere talmente tanto Magic da poter sopportare qualsiasi cosa pur di essere lì. Sapere che il giorno dopo distrutto e felice avrai aggiunto un po’ di te a quella sera, e ricordi indelebili alla tua vita. Era la nostra sera, quella in cui dimenticare ogni cosa del nostro caotico, merdoso vivere. Ero su di giri, ma soprattutto ero strafelice di ballare a cazzo come mi diceva la testa, la serata metteva bene, Luca ed Andrea avevano già rimorchiato, ballavano strusciandosi a due cubane, brasiliane, chissà di che paese. Mi sentivo strano, euforico, fuori come un balcone, andai al bar e pensai bene di iniziare a consumare un cuba libre, i miei occhi incrociarono quelli di una bambola, dall’altro lato del bancone, sembrava Cat Woman, la serata stava girando bene pensai, con la coda dell’occhio vidi i miei due amici infilarsi nei bagni con le loro nuove conquiste e sparire per il resto della serata, ci ritrovammo verso le 6.00 del mattino, Luca aveva le pupille dilatate e un sorriso ebete sulle labbra, continuava ad urlare alla tipa che aveva incontrato: “io sono Dio, pupa! Puoi ben dirlo!” Sono Dio!- Andrea non stava meglio si manteneva a stento sulle gambe, barcollava e si reggeva sulla spalla di Luca. Era il momento di andare via, la nostra notte era finita, con tutte le sue follie. Usciti dal Magic, il vento gelido e una pioggerellina sottile ci sorprese, non riuscivamo a stare in piedi e per tutto il tragitto per tornare alla macchina sembrava che il vento ci portasse via. Io continuavo a guardare Cat Woman e le sue tette strizzate nel completino leopardato che indossava e seguitavo a sghignazzare e a dire: “Porco cane, ma come cazzo fa a uscire così, non ha freddo? Lei rideva e continuava ad ancheggiare sui suoi tacchi a spillo, mi sembrava meno bella adesso, la baciai sul collo e provai un brivido. Arrivammo al parchetto, ero deciso più che mai a farmi lasciare a casa della pupa, avremmo fatto faville! Salimmo in macchina, Luca era talmente fuori dalle staffe che non riusciva a centrare la chiave nel cruscotto, ricordo che qualcuno gli disse che non doveva guidare, che era fuori di sé, che si sarebbe ammazzato, ma non voleva sentire ragioni, caricammo sulla nostra macchina anche Lele e la Cat Woman, la macchina iniziò a sfrecciare nella notte, ridevamo tutti, Luca diede gas sull’acceleratore, 80 km, poi 100, poi 150 all’ora in quinta, la musica rombava dalle casse dello stereo, Andrea già vomitava, io e Cat Woman ci davamo dentro sul sedile posteriore, il mondo girava completamente in tondo, iniziammo ad urlare ed era meraviglioso! Lele iniziò a sbraitare che voleva scendere, qualcuno gli gridò che doveva stare zitto e non piangere come una ragazzina. Ci trovammo così sulla tangenziale, eravamo troppo fatti per capire cosa stava succedendo e poi neanche ci fregava, eravamo meglio di Ilander noi e il pericolo non ci faceva paura. Eravamo giovani, eravamo belli, ma fummo ingannati dal GIALLO, IL GIALLO DEI FARI DI UN TIR che sfrecciava di fronte alla nostra macchina, qualcuno rideva ancora, qualcuno vomitava, ma di fianco a me gli occhi di Cat Woman parlavano, fu una frazione di secondo e quel giallo divenne più intenso, vivido, frammisto al rumore di trombe del tir, poi ci fu il buio su di noi, sulla nostra bellissima notte. Ogni cosa cambiò al risveglio, a partire dalle mie gambe che non c’erano più. A partire da Luca che ci lasciò dall’alto dei suoi 18 anni e da Lele che neanche conoscevo bene. Fu una frazione di secondo, ma quel giallo segnò la mia vita e quella di altri come me. Che cosa posso dire a nostra discolpa? L’unica cosa che posso dire è che eravamo giovani. Giovani di quella gioventù pura, che ti impedisce di aver paura, ti fa osare e ti fa vivere con quel fuoco dentro portandoti a perdere la ragione. Eravamo giovani e sfrontati, giovani e belli, irrazionali, irriverenti peccatori, incoscienti del futuro, del destino, dei giorni che scorrono via senza che tu possa fermarli. Eravamo giovani, adesso non lo siamo più, qualcuno ci è restato giovane, come Luca e i suoi 18 anni, per colpa di quel giallo che era il colore della morte, ma noi non potevamo saperlo.
Anna Lamonaca
Immagine di Rishibando: http://www.flickr.com/photos/rishibando/
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