STORIA DI UN SACCHETTO DI PLASTICA

di GM Willo (1996)

Reso ormai inutile dai manici strappati, un sacchetto di plastica viene gettato incurantemente per la strada. Immediatamente risucchiato dai riscontri delle utilitarie sull’arteria nell’ora di punta, il sacchetto non si è ancora accorto della sua improvvisa situazione di abbandono. Si lascia sballottare per un po’ all’interno di un mare urbano forza otto, fin quando lo stato confusionale non passa, e un’opportuna reazione non gli permette di conquistare l’isola di quiete al centro della burrascosa carreggiata. Un respiro, subito soffocato dal velenoso alito della marmitta truccata di uno scooter, lo scuote un po’. Fatto il punto della situazione, riesce bene o male a ricomporsi.
Alla sua destra e alla sua sinistra (ammesso che un sacchetto di plastica le sappia riconoscere) sfrecciano, nelle loro insignificanti direzioni, le vetture di una società incurante e trasgressiva, nonché insensibile all’infelice destino di un povero sacchetto di plastica abbandonato. Egli si aggrappa con ciò che gli resta dei suoi manici strappati ad un ridicolo cespuglio dell’isola stradale. Sentendosi continuamente afferrato dai mulinelli provocati dalle veloci autovetture, attende speranzoso un vento amico che lo sollevi sopra quell’inferno urbano, per poi depositarlo dolcemente sul verde prato di un giardino pubblico.
“Inutile attendere” pensa l’orfanello. “Un vento amico mai mi raggiungerà in questo fatale ingorgo”. E a conferma del famoso detto “ANCHE I SACCHETTI DI PLASTICA HANNO DEL CORAGGIO DA VENDERE!”, il nostro eroe lascia andare la presa, consegnando nel mani del Signor Caso il suo misero destino.
Subito la liscia Pirelli di una vecchia Fiat cinque porte lo incalza di sfioro, catapultandolo verso un motorino sgangherato cavalcato dallo sconvolto del quartiere, che fa di tutto per prendere il randagio al volo con un collo pieno da mezzala. Lo manca di un soffio.
È la volta di una Renault in abito blu notte che, quasi irritata dalla presenza del rifiuto, se lo lascia passare sotto mostrandogli impudentemente ogni sua accortezza meccanica. Lo risputa dalla parte posteriore con una forza inaudita, tanto che il bus numero 16, sfrecciante nella sua velocità razzo, lo prende in pieno trascinandolo per un centinaio di metri. Ma il controllore, accortosi del passeggero privo di biglietto, lo restituisce in pasto alla terrificante carreggiata.
Lo sventurato raggiunge finalmente la linea longitudinale discontinua che separa le due corsie, e per un fugace momento riesce a toccare il solido asfalto. Ma la quiete si dimostra breve e subito l’altra corsia lo risucchia dentro nuovi e terribili mulinelli, tra gli aliti soporiferi dei benzeni e le folate immonde dei diesel. Solo le poche biciclette, arrancanti nella cortina fumosa, riescono ad evitarlo.
Ma per il nostro sacchetto di plastica, la terrificante avventura sull’arteria nell’ora di punta sembra si stia per concludere. Ancora una leggera spinta e il marciapiedi è conquistato. Ecco allora che all’orizzonte un mostruoso autoarticolato si avvicina; impensabile che l’orango alla guida possa accorgersi del miserabile. Un tornado investe così il povero sacchetto di plastica che, impennandosi con un certo stile, prende a sorvolare la carreggiata fino ad atterrare sull’isola stradale dalla quale era partito. In quel momento, se il naufrago avesse conosciuto la parola sfortuna, si sarebbe detto sfortunato.

È notte e c’è bonaccia. Sull’arteria ormai quasi deserta, il sacchetto di plastica si pensa infelice rifiuto della società, ma si scopre anche tremendamente offeso. Finché era servito aveva compiuto sempre il suo dovere, poi un giorno, quello stesso terribile giorno, la mano che per molto tempo lo aveva stretto affidandogli la spesa, lo aveva abbandonato, senza neanche concedergli una degna sepoltura nell’opportuno raccoglitore per la plastica. Ora, solo e abbandonato nella giungla cittadina, incidentalmente impigliato al cespuglio di un’isola stradale, mira la volta stellata che, mentre i gas velenosi si diradano lentamente nell’aria tiepida della notte, si concede alla sua vista. Eppure il confronto con tale vastità invece di sconfortarlo lo rianima d’improvviso. Si riappropria della fiducia perduta e torna a lottare. Volgendo i suoi desideri ad un cielo diventato limpido, in un istante in cui anche la luce arancione dei lampioni fa fatica ad inquinare la sua brillantezza, il derelitto si rivolge alla benamata Dea Ecologia, e l’intima atmosfera gli ispira un canto.

Modesta la supplica che a te porgo
Vana chimera detta Ecologia
Che un tuo vento presto mi trascini via
Prima che il giorno rechi un altro ingorgo
Che mi accompagni poi subitamente
Nel raccoglitore di plastica adiacente.

D’improvviso una brezza fantasma scivola attraverso l’ampia strada, fino a raggiungere l’isoletta verde in mezzo all’asfalto. Nessuno è presente, nessuno si accorge di quel fatto oltremodo curioso, là sulla carreggiata deserta, dove un sacchetto di plastica prende dolcemente quota con la grazia di un aquilone. Lo si vede volteggiare in armonia con l’improbabile canto di una notte magica, ed il suo procedere lo rende curiosamente aggraziato. Descrive poi una geometrica parabola che lo porta a sorvolare in un attimo l’intera sede stradale, imboccando alfine, sempre sulle ali del vento misterioso, un viuzzo attiguo che dopo poche decine di metri sfocia in una piazzetta. Il sacchetto continua la sua intrepida cavalcata verso il raccoglitore della plastica, ed ormai solamente pochi metri lo dividono dalla sua ambita meta, luogo di temporanea e beata pace fino al prossimo riciclaggio. Un’ultima capriola proprio sopra la vorace bocca del cassonetto, un ultimo sguardo verso l’infinito grigiore di un mondo ipdisnipeatico*, poi, senza nessun rammarico, si scaraventa dentro il suo agognato giaciglio, meritato riposo sotto le coltri di una coscienza pulita. La coscienza di un umilissimo sacchetto di plastica abbandonato.

IPDISNIPEATICO: dalla parola “ipdisnipe”, intraducibile dal misterioso linguaggio dei sacchetti di plastica.

GM Willo – Altri Lavori

Immagine di: http://www.flickr.com/photos/cucchiaio/

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2 risposte a “STORIA DI UN SACCHETTO DI PLASTICA

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