LE STORIE DIMENTICATE DI BILL E SAM: Lo Spettro Della Foresta Di Khoun. Seconda Parte

di Titty

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La gente che abitava nella contea di Highway non si avventurava di notte nella foresta di Khoun, poiché molti non facevano ritorno dal loro viaggio. Si mormorava che nel cuore della boscaglia vivesse lo spirito irrequieto di una donna che attraeva nella sua dimora gli sventurati esploratori per tenerli con sé. I boscaioli erano gli unici testimoni di questi strani avvenimenti. Spesso sentivano strane voci simili a lamenti, giungere sino a loro come trasportate del vento. I loro cavalli scappavano di continuo, spaventati da una presenza che non riuscivano a vedere. Preferivano muoversi in gruppo quando le necessità del loro lavoro gli imponevano una lunga permanenza nella foresta, anche se non si attardavano mai dopo il tramonto, perché con l’avanzare dell’oscurità crescevano quelle paure che per tutto il giorno erano riusciti a controllare.
Quando potevano, avvisavano i forestieri di passaggio del pericolo cui andavano incontro e in pochi non badavano ai loro avvertimenti, visto che le loro raccomandazioni erano molto convincenti e nel dubbio si preferiva non rischiare.
Il conte di Sent’Aten, il signore delle terre di Rhion, non conosceva questa storia e purtroppo quando si addentrò nella foresta di Khoun, non ebbe la fortuna di incontrare nessuna persona del luogo che potesse avvisarlo dell’immane pericolo. È molto probabile che tali raccomandazioni non avrebbero persuaso il nobile a ritornare sui suoi passi, perché ciò l’avrebbe esposto a un giudizio di codardia che, per un uomo del suo rango, era più pericoloso di qualsiasi minaccia, presunta o reale, potesse celare la foresta. Doveva recapitare un messaggio al conte di Highway e quella era la via più veloce da seguire per giungere al suo castello.
La sua premura era tale da non prestare troppa attenzione alla nebbia che lentamente sembrava avvolgere ogni cosa, confondendo l’istinto che di solito guida i viaggiatori più esperti verso la strada giusta da seguire. In breve la visibilità si ridusse al punto di confondere lo stesso orientamento del destriero che da sempre il conte di Sent’Aten cavalca nei suoi viaggi.
Goibniu, questo era il suo nome, procedeva cauto, al passo, sempre più nervoso e spaventato, tanto che ogni rumore lo sconvolgeva al punto di fargli perdere il composto portamento che da sempre lo distinguono da un semplice ronzino.
Qualcosa si mosse velocemente davanti ai suoi zoccoli, dopo l’urlo di una civetta penetrò i suoi timpani confondendolo ancora di più. Istintivamente sollevò le zampe anteriori contro un nemico che non vedeva, ma che credeva dovesse fronteggiare. Il suo ardore fu tale da fare cadere il suo padrone che stramazzò al suolo perdendo i sensi.
Goibniu sentiva una strana forza incombere su di loro. Era agitato, confuso da quella strana situazione, scalpitava attorno al corpo del suo padrone con fare protettivo. Forse i suoi sensi più fini di quelli di noi altri, percepivano quel misterioso nemico che gli uomini con il tempo avevano imparato a temere.
La figura di una donna, vestita con lunghi abiti neri, emerse improvvisamente dalla nebbia. L’animale prese a nitrire più forte nella speranza di destare il suo padrone.
Quella strana creatura sembrava fatta della stessa consistenza della nebbia. Fluttuava, spostandosi a scatti, a intervelli di qualche secondo. Tutto il suo corpo sembrava agitato da spasmi simili a tic nervosi che rendevano la sua apparizione ancora più inquietante. Dopo qualche istante notò il corpo incosciente del conte e s’immobilizzò. Il suo viso era celato da un lungo velo nero ed erano i suoi movimenti a suggerire le sue impressioni. Allungò le mani verso l’uomo per poi ritrarle, come se si fosse ravveduta sulla sua precedente decisione. Avanzava verso egli senza avvicinarsi troppo, per poi allontanarsi maggiormente. Quando le sue incertezze si dissolsero, avanzò con un guizzo su di lui.
Strinse le mani al petto come a imprigionare la sua pena per poi allungarne una sul viso dell’uomo. Un gesto gentile che per un attimo parve trasmettere parte di quell’umanità che aveva perso da tempo. Lentamente riportò la mano al sicuro, sotto le vesti scure, per poi spostare la sua attenzione sul possente destriero.
In una fazione di secondo fu di fianco a Goibniu che chinava il muso in segno di sottomissione forzata, mentre le sue zampe recalcitravano nervose. A un gesto della mano il corpo dell’uomo si sollevò per sistemarsi di traverso sul cavallo.
Ogni movimento dello spettro era annunciato dal solo rumore delle vesti, che con i suoi fruscii sembrava comunicare la sua volontà. Goibniu sapeva che doveva seguirla, anche se non gli era stato ordinato di farlo.
Lo spettro avanzava innanzi al destriero muovendosi a scatti tra gli alberi che dopo il suo passaggio erano liberi dal velo di nebbia che da prima gli aveva imprigionati. Giunti al margine della foresta ritornò sui suoi passi per fermarsi di fianco al cavallo che continuava a essere infastidito dalla sua presenza.
Poco lontano era visibile un’unica modesta casa. Era di sicuro abitata perché s’intravedeva una tenue luce da una delle finestre e del fumo fuoriusciva dal comignolo remore che un fuoco era acceso al suo interno. La creatura indicò la casa per poi sparire nella foresta accompagnata dal fruscio leggero delle sue vesti.
Goibniu avanzò cauto verso di essa fermandosi proprio dinanzi all’uscio. Dopo qualche secondo si udì un rumore sordo come se qualcuno avesse bussato alla porta e attendesse di essere ricevuto dal padrone di casa.

***

Il conte di Sent’Aten era completamente immerso nei suoi sogni. In questa dimensione non aveva il sentore di essere perso in un mondo diverso da quello reale. Vagava nella foresta alla ricerca del suo cavallo, il suo fedele Goibniu scappato via improvvisamente. «Goibniu, vieni a me!» Gridava a intervalli regolari.
Nel terreno non si scorgevano tracce del cavallo e questo fatto era motivo di preoccupazione per il conte. Aveva il dubbio che stesse seguendo una pista sbagliata, che l’allontanava sempre di più dal fedele compagno.
«Abbiamo un’ambasciata importante da compiere e non possiamo bighellonare tutta la notte nella foresta. Dove ti sei cacciato per le mille barbe di Merlino!»
Un lamento straziane lo distrasse dalla sua ricerca.
Da prima si persuase di aver solo immaginato gli incessanti singhiozzi che aveva udito, ma dopo qualche minuto non riuscì a ignorare il pianto disperato di una donna che ora si espandeva per tutta la foresta. Un lamento angosciante che sembrava non trovare conforto.
Il suo dovere gli imponeva di ignorare quel diversivo, eppure il suo nobile cuore lo convinse a non rimanere sordo a quella richiesta d’aiuto.
Il conte non riusciva a individuare la direzione da cui proveniva il lamento. Si diffondeva in tutta la foresta trasportato dal vento ed era difficile individuarne la fonte. Improvvisamente si trovò a ridosso di una teca di ghiaccio molto spessa e robusta abbandonata lì, tra l’edera che sembrava chiuderla nel suo abbraccio soffocante.
«Quale stregoneria è mai questa!» esclamò sorpreso.
Dopo aver strappato le piante, osservò incuriosito quella strana costruzione e le infide radici ricrescere nuovamente per avvolgerla.
«Le vostre lacrime feriscono più di cento pugnali» commentò il conte di Sent’Aten osservando la donna distesa all’interno della teca. L’opaca superficie nascondeva il suo viso e si scorgevano solo le lacrime che bagnavano copiosamente le sue guance.
Doveva liberare quella donna. Lo sentiva nel profondo del suo essere. Era diventata una priorità cui non poteva sottrarsi. L’edera era il primo ostacolo da superare. Inutile vegetale che cedette facilmente alla sua caparbietà, ma quando cercò di spaccare il freddo ghiaccio tutta la sua sforza parve inutile. La sua spada non intaccava quella fredda materia la cui superficie che cedeva nemmeno sotto il peso di grossi massi.
«Aiuto, presto accorrete» urlò l’uomo inutilmente.
Nessuno poteva sentire le sue grida ma lui ignorava questa condizione. Più il silenzio lo sovrastava, più disperate si facevano le sue invocazioni. Era vittima della stessa angoscia che sembrava nascere dal pianto che l’aveva guidato sino alla tomba dimenticata. Rabbia e senso d’impotenza gli facevano perdere il controllo che da sempre avevano distinto le sue gesta nei momenti più difficili.
«Non posso lasciarla qui,» si rimproverava disperato. «non posso abbandonare questa donna alla sua solitudine. Ci sarà un padre, un fratello o un amato che la cercano disperatamente senza conoscere il luogo in cui è stata abbandonata.»
«Non puoi far nulla per infrangere la mia prigione di ghiaccio. Nessuno può liberarmi dal gelo che attanaglia il mio cuore» rispose una voce tra le lacrime per poi spegnersi del tutto.
Quelle parole risonarono improvvise come un urlo rassegnato al quale Sir Sent’Aten non poteva controbattere.

***

Il cavaliere si risvegliò in una casa a lui sconosciuta, confuso tra sogno e realtà. Quando i suoi occhi si abituarono alla poca luce della stanza osservò con attenzione l’umile dimora in cui aveva trovato rifugio. La sua confusione crebbe quando tentò di ricordare il modo in cui era giunto lì, senza riuscire a rammentare nulla di quel frangente.
Lentamente prese consapevolezza di se e del mondo che lo circondava. La testa gli doleva moltissimo e quando cercò di sollevarsi sui gomiti, un forte capogiro lo costrinse a ritornare sui suoi passi.
La sua attenzione fu attratta dall’unica fonte di luce della stanza: in un enorme cammino scoppiettava un grosso fuoco sul quale era sistemata una pentola che gorgogliava lievemente. Una giovane donna stava seduta davanti a esso, cuciva con espressione soddisfatta, qualcosa che l’uomo non poteva vedere.
Il conte ne ammirò l’elegante profilo e la grazia dei movimenti che sembravano illuminare di luce speciale il suo semplice lavoro. Di tanto in tanto alzava lo sguardo sul suo ospite e quando si accorse che era sveglio e quasi seduto sul letto si avvicinò a egli.
«Non potete alzarvi. Avete la febbre molto alta e siete ancora troppo debole» disse abbozzando un sorriso. «Immagino che siate affamato?»
L’uomo sentiva un nodo in gola che gli bloccava la parola, ma la donna comprese lo stesso il suo volere. Ricambiò il suo silenzio con un altro sorriso per poi avvicinarsi alla pentola che ribolliva sul fuoco.
Dopo qualche minuto si riavvicinò al letto con una scodella di minestra e con infinita gentilezza prese a imboccare l’uomo che da solo non sarebbe riuscito a sfamarsi.
«Riposate ancora un po’» suggerì la donna subito dopo.
L’uomo assecondò la sua richiesta cedendo con garbo alle spinte che lo riportarono supino sul letto. Raccolse, però, tutta la sua forza per fare un’unica domanda. «Sono il conte di Sant’Aten. Ero diretto al castello di Highway ma mi sono perso nella foresta. Voi chi siete?»
«Il vostro cavallo vi ha condotto sino alla porta della mia casa. Eravate incosciente con una brutta ferita sulla fronte» rispose la donna riprendendo il suo posto vicino al cammino. «Siete al margine Ovest della foresta di Khoun a un giorno di marcia da Glanghery, il castello è poco più a Nord.»
Nel silenzio della piccola stanza era percepibile la crescente tensione che la risposta della donna aveva contribuito a creare. Il conte di Sent’Aten la fissava con insistenza mentre lei continuava a lavorare al suo cucito. Quando risollevò lo sguardo su di lui, percepì la sua attesa e per un attimo parve non voler cedere alla curiosità dell’uomo.
«Il mio nome è Iris. Ora riposate.»

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Titty – Altri Lavori


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