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L’ULTIMO NATALE
di GM Willo
Il bambino chiese al padre del Natale. Ne aveva sentito parlare a scuola da un curioso professore di storia che la sapeva lunga, e quando lui aveva alzato la mano per chiedergli che cosa fosse, il maestro aveva scrollato le spalle e liquidato la questione dicendo che era qualcosa di assolutamente inutile che usavano fare gli Antichi.
Il bambino aveva sentito molto parlare degli Antichi, quelli che avevano i computer, le televisioni, le auto super veloci, gli aeroplani e le partite di calcio, tutte cose ormai scomparse da svariati secoli. Alcuni ne parlavano bene, ma la maggior parte della gente li considerava dei selvaggi, corrotti fino all’osso da una vecchia malattia che veniva chiamata “materialismo”. C’erano voluti grandi sacrifici e terribili guerre per sradicare questa terribile maledizione dell’uomo, ma alla fine la gente era tornata a vivere serenamente come usava fare quando il mondo era giovane, a contatto con la natura e in reciproca fratellanza. Certo, non era un mondo proprio perfetto. C’era ancora chi si ribellava, chi desiderava di più di quello che aveva, chi si sentiva infelice, ma i saggi delle grandi città erano sicuri che le cose andavano molto meglio di prima e non perdevano occasione per ripeterlo alla gente.
Era il 24 dicembre e la neve cadeva abbondante da quasi due ore, tanto che il giardino di casa era completamente coperto da una candida trapunta bianca. Il padre, sprofondato nella poltrona accanto al caminetto acceso, guardò il figlio da oltre il bordo del libro che stava leggendo.
– Chi ti ha parlato del Natale? – chiese, strizzando le due fessure cespugliose che aveva per occhi.
– Oh, nessuno. Ne ha solo accennato il professore di storia stamattina. Volevo saperne di più, ma lui mi ha risposto che non era importante, però a me la curiosità è rimasta… – rispose il bimbo, mettendosi a sedere sul tappeto davanti all’imponente figura paterna. Intuiva che presto lo avrebbe omaggiato di una delle sue favolose storie, ed infatti non rimase deluso.
Messo da parte il libro, l’uomo si sistemò meglio sulla poltrona ed elargì al figlio uno sguardo penetrante che gli mise addosso un po’ di paura. Poi, sciogliendo con un mezzo sorriso i suoi timori, disse: – Bene, bene, bene… è arrivata l’ora che tu conosca una vecchia storia che la nostra famiglia ha tramandato per generazioni e riguarda giustappunto questo fantomatico Natale. Stai bene attento però, non tutto ciò che ti dirò risponde a verità, ma non te ne dolere. Dalle storie non bisogna sempre e solo prendere la verità, ma solo quello che veramente ti necessita. Una storia è come un dono…
Intanto fuori l’improvvisa nevicata si era trasformata in una vera tempesta.
– Vedi, il Natale era una festa che veniva celebrata tutti gli anni all’inizio dell’inverno, precisamente il 25 di dicembre, cioè domani. Era una festa religiosa, legata al cristianesimo, un antico culto degli uomini che per oltre duemila anni ha causato dolore, infelicità e numerose guerre. Negli ultimi decenni della civiltà degli Antichi, il Natale si era trasformato in una ricorrenza prettamente commerciale, volta a soddisfare le esigenze del materialismo, altra grande afflizione dell’uomo. All’indomani dell’ultima grande rivoluzione che scosse il vecchio mondo, questa festività, insieme a molti altri costumi in uso fino ad allora, venne bandita e col tempo la gente si è completamente dimenticata della sua esistenza.
Io stesso non ne sapevo niente fino a quando un giorno, il 24 dicembre di molti anni fa, mio padre non mi raccontò di un antico diario tramandato dalla nostra famiglia. Lo vedi quel vecchio libro rilegato in cuoio che sta su quello scaffale lassù? – chiese il padre indicando verso la libreria del salotto.
Il bambino volse lo sguardo e lo vide, forse per la prima volta in tanti anni, o forse lo aveva visto già un milione di volte ma non l’aveva mai notato.
– Apparteneva al tuo trisavolo e descrive gli eventi della grande rivoluzione. Vai a prenderlo – lo incoraggiò il padre, e lui, alzandosi di scatto, andò verso la libreria e con estrema delicatezza sfilò dallo scaffale quel piccolo tomo che doveva essere molto più antico di tutti gli altri libri. Con altrettanta delicatezza lo porse al padre che attendeva sulla sua poltrona.
– Eccolo qua… – sussurrò, rigirando l’oggetto tra le mani. Poi, con dita abili, ne aprì la copertina e iniziò a sfogliare delicatamente le pagine totalmente ingiallite e ricoperte da una calligrafia minuta e sottile. Si fermò a circa tre quarti del libro, mormorando qualcosa tra le labbra come se volesse esprimere la sua soddisfazione. – Ecco, ne parla proprio qui… ascolta adesso. – E quando iniziò a leggere da quel diario la sua voce sembrò trasformarsi come quella di un ventriloquo.
– “Le cose stanno per cambiare, nessuno ormai ne dubita più. Anche le televisioni hanno smesso di ignorare le grandi rivoluzioni che si riversano in ogni parte del paese. Neppure in questo giorno di festa, di cui ormai nessuno più si ricorda, la gente riesce a fermarsi. Qualcosa di grande ci aspetta, il cambiamento tanto sperato, tanto voluto dal popolo e per il quale il popolo ha combattuto per tutti questi anni. Eppure oggi l’unica cosa che desidero è starmene a casa insieme alla mia famiglia. Per un giorno lascerò le strade e rimarrò tra queste mura, dimenticandomi dei combattimenti e della guerra che sta sconvolgendo le nostre vite. Non abbiamo molto da mangiare, ma non è importante. Ho trovato una vecchia scatola di addobbi natalizi su in soffitta, e un piccolo alberello di plastica che forse apparteneva ai miei genitori, quando erano giovani. Ebbene si, lo confesso, ho fatto l’albero di Natale. Lo abbiamo fatto insieme, io e mia figlia Giada, mentre mia moglie Tullia era in cucina ad inventarsi un pranzo degno di questa festa. Chissà quante persone ancora lo festeggiano, questo Natale pazzo, mi chiedo… per la maggior parte dei combattenti è solo una delle tante manifestazioni ipocrite del vecchio mondo, quello destinato a crollare, eppure non posso fare a meno di aggrapparmi a quei ricordi di fanciullo, io insieme ai miei genitori e i miei due fratelli. Non per la questione dei regali, che erano comunque uno spasso, ma per l’atmosfera, l’odore, il sapore di quel giorno speciale. Mio padre metteva sempre del jazz per Natale, i classici di Nina Simone o Frank Sinatra, perché secondo lui non c’era musica migliore per quel periodo dell’anno. Mia madre rimaneva a dormire fino a tardi e poi ci chiamava su in camera e ci invitava nel letto a vedere i cartoni di Walt Disney, mentre mio padre preparava il pranzo. Poi c’erano le lucine, il caminetto, il torrone, l’odore di zenzero, lo spumante, il panettone e la passeggiata nel pomeriggio, per andare a trovare gli amici. C’erano gli zii che portavano dei regali strambi ma sempre divertenti, e poi la sera, dopo cena, ci riunivamo attorno al tavolo del salotto ed insieme a papà giocavamo al gioco del labirinto o a quello degli esploratori. Questo era il mio Natale, per molti anni, o forse lo è stato solo per pochi, ma quando sei piccolo il tempo si dilata, perde significato, ed è così che certe cose rimangono immutate, nonostante le guerre e le rivoluzioni. Così ho voluto fare un piccolo regalo alle mie due ragazze. Per Tullia ho comprato un paio di orecchini, una cosa piccola da bigiotteria, ma molto carina. A Giada ho preso una bambola, semplice, fatta a mano, come quelle di un tempo.
Fuori il cielo è bianco e a volte si sentono delle esplosioni. Forse stanotte nevicherà… Perché manca solo un sipario di neve a suggellare questo magico giorno, e forse sarà davvero il nostro ultimo Natale…”
La voce del padre si spense e il crepitio del camino tornò ad essere l’unico suono presente nella stanza. Fuori il mondo era un vortice di candidi fiocchi impazziti.
– Dev’essere stato bello allora, questo Natale – esclamò il figlio guardando il padre con due occhi spalancati e lucenti.
– Si, figlio mio, penso proprio di si… – rispose il padre, perdendosi nella danza del fuoco. E per un po’ nessuno parlò, ma forse entrambi avvertirono qualcosa di impalpabile che li colmò entrambi di calore. Qualcuno potrebbe chiamarlo superficialmente “Lo Spirito del Natale”, ma forse c’è una spiegazione più semplice. A volte, nella monotonia dei giorni tutti uguali, è bello avere una scusa per stare più vicini alle persone care, ed amarsi un po’ di più.
E che male c’è a chiamarla Natale, questa scusa…
GM Willo – Altri Lavori