NARCISO

narciso

Via Calzaioli sembrava una vasca di piranha frenetici…
Il Mare con leggere onde scuoteva il branco che si perdeva nei suoi flutti. Capelli soffocati dal gel, irti come spine dorsali di uno Scorfano. Stupide aguglie di mare, sottili come alghe che si agitavano nella corrente. Pesci-palla, obesi e lenti che si gonfiavano per incutere paura, Neri-pulitori dalla bocca a ventosa che all’arrivo dei pesci-carabineri, ripulivano il fondo dai loro rifiuti… Questa splendida vasca d’idioti che si sfregavano in preda alla noia, sfiorandosi e strusciandosi in un balletto primordiale di vita nell’acqua. Prede e predatori.
Lo squalo si mosse quasi contro voglia, vicino a lui una razza si scostò con il suo trench nero. Quante altre volte avrebbe dovuto mangiare senza saziarsi? Mosse le pinne in quel mare di ignoranza aprendo le fauci in uno splendido sorriso.
I vetri dell’acquario erano particolarmente lucidi quel giorno, i mammiferi le avevano lustrate a specchio, eliminando il muschio e la borracina. Le vetrine mostravano pelli morte di pesci tropicali dai mille colori,
pantaloni di cozze e collane di perle coltivate. E fu lì che lo squalo si fermò ad ammirarsi nei suoi occhi neri senza riflesso.
Tutto sembrò incendiarsi in mille fiamme di arcobaleno. Il rumore della gente era lo sfrigolio di una brace ardente ravvivata dalla rabbia. Un calore primordiale di odio febbricitante lo pervase… Avvampò nel vedere le sue occhiaie, violacee come fiaccole infernali. Il lavoro, la zona blu, gli orari, era un uomo importante, certo… ma stava perdendo la sua giovinezza…
Si voltò a vedere quella bolgia infernale di anime in pena, straziate dal caldo e dall’afa, quell’ammasso di pelle bruciata e seviziata dalle faville del suo odio. Piccoli gruppi di anime perse guardavano immobili il fiume di sangue e carne, altri si dimenavano inutilmente per sfuggire al fuoco della noia e dell’ignoranza. Il rumore assordante del loro lamento di morte viva, dello strazio di vivere in mezzo ai tormenti di una vita vuota e sterile.
Chiuse gli occhi, per non vedere e non vedersi. Stese le ali piumate per accarezzare il vento della giovinezza che fuggiva via. Ricordò il candore delle sue penne, l’agilità dei suoi voli, le leggere planate sulla massa di piccioni tubanti e di passerotti stanchi. E poi giù in picchiata con la velocità di un candido falco, l’aria fresca e pulita sopra lo smog della città sporca, verso nuvole di fantasia.
Paesaggi da sogno, pianure incantate, voli pindarici e sfreccianti virate… Si fissò con odio nel riflesso dei suoi occhi; aveva scordato tutto. Tutto.
Le sue ali rotte e stroncate dalla “Maturità”. Il volo impedito da un ciclone di stress ed impegni, di orari precisi, di lavoro in borsa, di amanti gelose e di nauseante sesso. Ancorato alla ruvida terra, come una pianta ammirava il cielo che gli apparteneva. Affondò le sue radici nel fango della palude di Via Calzaioli,
ancorato alla melma ed a terra bruciata. La teca della serra era riflettente e pulita, il giardiniere l’aveva ripulita dal fango e dalla polvere. La pianta muta, in silenzio, voltò i suoi petali per guardarsi di nuovo. Che splendido fiore…
Un candido Narciso si riflesse nei suoi occhi di clorofilla, dolce nettare estrasse dalla palude di emozioni sporche. Splendido, commovente, ondeggiante vegetale di inumana bellezza, accarezzato dal vento affondava le sue radici nella morbida terra, il dolce liquido della sua linfa si incendiò col calore della vita che aveva scordato.
Il rumore delle ragazze e dello stereo dei negozi e vetrine era assordante. Scalpiccio di scarpe di gomma e tacchi come trampoli, illuminati da neon violacei e giallastri lampioni ragazzini fumavano e parlavano di calcio. Un tappeto di cicche e lattine e giornali strappati, il frenetico movimento di umani al pascolo in una sporca città. La commessa uscì dal negozio con preoccupazione e paura…
– Si sente…bene? –
Gli occhi sgranati, persi in un paesaggio fantastico di elementi armoniosi… Mi voltai lentamente, senza mai staccare il riflesso del mio volto dai miei occhi. Splendido.
Cosa voleva questa mezza tacchetta bionda platinata incellofanata come un cadavere?
Voglio vedermi. Ed ammirarmi.
– Signore… sono sei ore che fissa la vetrina.. …noi dobbiamo chiudere… –
Splendidi denti come zanne affilate e perfette… Morbido corpo di eterno bambino, criniera splendente di mossi capelli… Labbra carnose, suadenti e provocanti.
[No… Non ora… Adesso che ho trovato il mio amore, il mio amante…]
Corsi come un folle verso un’altra vetrina… il sole stava scendendo, il riflesso era meno forte..
[No… ti prego… ancora un attimo…]
Nel fioco riflesso quel taglio degli occhi, conturbante donna e maschio tenebroso. Mi avvicinai alla sua bocca… E lo baciai con il calore del rosso Sole calante che lo portava via. Chiusi gli occhi per assaporare quel tenero momento di eccitazione ed appagamento.
Un colpo forte, dietro il collo, una mano gigante chiusa in una stretta possente. Un suono sordo e lo schianto sul vetro. Il mio splendido volto urtò con violenza la vetrina del negozio di vestiti. Caddi a terra come polline pesante nel fragore dei vetri rotti…
– BRUTTO DEGENERATO DEL CAZZO! TI INSEGNO IO, PERVERTITO, A MOLESTARE MIA FIGLIA!!! –
Sangue… linfa vitale di una pianta strappata… Dolore, del mio amante perduto, del mio compagno rubato dall’ombra nel riflesso… Bianco Narciso lordato dal rosso liquame.
Punito fui dagli Dei per la mia insolenza, come allora il dolore mi scosse mentre statua divenni, sulle rive di un fiume Eco piangeva, sentivo ancora il suo pianto nel rumore assordante della folla impaziente.
– IO TI SPACCO LA FACCIA, PORCO BASTARDO!!! –
Il pugno ricadde con violenza inaudita, la rabbia di un padre che difende una figlia…
[Forse aveva scambiato il mio bacio per una dichiarazione scurrile, non importa, adesso avrà altro a cui pensare…]
Un suono di ossa rotte come legnetti incurvati e spezzati, carne esplosa lacerata da dentro, ossa che schizzano in piccole schegge. La mano era un brandello di carne e di sangue, le dita distorte orribilmente deviate. Cominciò a tremare col dolore nel volto, mentre il suo sangue bagnava il mio viso. Splendide dita, come lame affilate, stesero il sangue come rossetto infernale.
Il mio volto… come doveva essere in quel momento? Macabro e stupendo, perverso e maligno, profondamente ebbro della sua bellezza.. Una statua di carne immota e perfetta, scolpita da Dei con mani ispirate. L’uomo svenne dopo un rantolo sommesso di dolore, mentre sua figlia, un orribile ammasso di carne straripante dai fianchi, agitò i suoi capelli di stoppa nerastra e con voce di cornacchia mi offendeva e urlava “Polizia!”…
Nel silenzio. Mi mossi calmo, cercando il mio riflesso nello specchio del negozio… Entrai soddisfatto, inebriato dalla mia stessa presenza, che stupendo essere… Come sacchetti della nettezza gettai nel cassonetto del passato giacca, cravatta, pantaloni e tutto quello schifo firmato Versace che portavo addosso. Presi una camicia di ciniglia rossa orientale, collo alto dai ricami stupendi, cento piccoli bottoni dorati accarezzavano birichini il mio petto nudo. Un boa di piume di corvo nero abbracciava il mio collo,
s’intrecciava bramoso con le mie ciocche di capelli lucidi e puliti. La gonna viola dai riflessi notturni con un sole morente, mi ricordava il mio amore, copriva i neri anfibi dalla punta squadrata.
Uscii soddisfatto, sentii gli sguardi su di me. Tutti per me. TUTTI.
Camminavo tra la folla immobile che stupita ammirava il mio splendore, mentre cercavo la mia immagine nei loro occhi sgranati. Ed un profumo di sesso, inebriante aroma, pervase la strada nell’eco dei miei passi. Un profumo di nettare, di polline raro, la bellezza sgargiante del mio corpo perfetto. Petali bianchi di Narcisi in fiore secernevano brividi di piacere perverso. Una statua perfetta, un fiore prezioso… Un NARCISO splendente che sognava se stesso desiderando il suo corpo.
Lasciai il lavoro, lo stress, le mie amanti, abbandonai tutto meno me stesso. Adesso ho il mio amore, in ogni specchio e riflesso, mi guarda bramoso, eccitato, perverso….
Narciso è il mio nome, guardatemi adesso!

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