SOLO FINO A UN CERTO PUNTO – I

Da oggi per le prossime tre settimane il sito Rivoluzione Creativa presenta il racconto lungo a episodi “Solo fino a un certo punto”, scritto da Bruno Magnolfi ed illustrato da Giulia Tesoro. Per vederne il trailer clikkate qui. Per ingrandire le immagini clikkateci sopra.

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SOLO FINO A UN CERTO PUNTO – I

Erano le 22,21 quando sono entrato nel letto, ed ho avuto particolare cura per non scalzarlo troppo dal mio lato, in modo che le coperte si mantenessero ben tese. Ho spento subito la luce crollando di sonno e di stanchezza. Alle 2 e 43 ero già con gli occhi aperti, e la radiosveglia accanto a me, coi suoi grandi e luminosi numeri rossi, mi ricordava implacabile il passare lento e inesorabile della notte.

Stamani mi sono svegliato come ogni mattina, alla stessa ora di sempre, ritrovandomi quasi nella stessa posizione di ogni giorno. Non mi sono meravigliato, in fondo non c’era proprio nulla di cui meravigliarsi, anche perché davanti a me non avevo alcuna altra possibilità se non quella di compiere i soliti gesti usuali di ogni giorno.
Movendomi lentamente ed evitando di disturbare il mio cane che da sempre passa le notti sdraiato sopra al pavimento ai piedi del letto, ho pensato che l’unica vera differenza rispetto ad un altro qualsiasi dei miei risvegli fosse data dai pensieri. Certo, se tutto era uguale fin nei dettagli dei colori del pigiama e nella posizione del cane, forse l’unica vera differenza era quella, per dati oggettivi, impossibile da vedere. Sicuro, una volta in piedi, quando fossi stato completamente sveglio, ma forse ancora prima, mentre ero intento ai riti di sempre, la barba, l’acqua, lo specchio, ed anche una volta adempiuti i compiti di ogni mattina, finito di preoccuparmi di qualsiasi piccola cosa, bene, potevo pensare. Pensare qualsiasi sciocchezza, immaginarmi le cose più strane e più ardite, fantasticare su tutto ridisegnando anche gli oggetti che arredano la mia piccola casa e che sembrano emergere dalla nebbia quando vengono rischiarati dalla fioca luce della mattina appena abbozzata. Pensare anche qualcosa di me, oppure degli altri, oppure di nessuno in particolare. Prepararmi alla giornata nascente, o a quella a seguire, o a tutta la settimana, ai mesi, agli anni a venire, progettare cambiamenti, trasformazioni, qualsiasi cosa, qualsiasi cosa io possa desiderare.

Subito dopo ho avuto paura di quel mio pensare. Ho preso il latte dal frigo, l’ho versato freddo dentro ad un bicchiere, ci ho messo dentro due cucchiaini di zucchero stando ben attento a non prendere l’identico involucro riempito di sale, e dopo aver fatto girare diverse volte quel latte, ne ho bevuto un bel sorso.
Se all’improvviso non avessi avuto pensieri, neanche uno piccolo che ne valesse la pena; se non avessi avuto nessuna fantasia, né sulla casa, né sui gesti di ogni giorno, né quest’atteggiamento critico sui miei comportamenti giornalieri, né su queste povere cose che ogni giorno mi vengono incontro, che mi aiutano a ritrovare la mia personalità, la mia indole; se non avessi il mio sentirmi persona che a volte si sdoppia fino a farmi vedere ogni cosa con gli occhi dello specchio del bagno, o del mio cane che alza la sua testa pelosa ad osservare la medesima scena di ogni giorno. Se non avessi tutto questo neppure sarei. O sarei altro. Mi sono immaginato la giornata di fronte. Ed ho avuto voglia di cambiarne la struttura, i contenitori stessi del suo ordinario trascorrere. Poi mi sono reso conto che è del tutto impossibile. Ma in fondo tutto questo è stato sufficiente: avere delle possibilità, anche se non vengono neppure sfruttate, è già sufficiente per poter essere vivi.

Alle quattro mi sono svegliato. Non di soprassalto, per un rumore, o per qualcosa che avesse disturbato d’improvviso il mio sonno. Senza alcun motivo, in modo direi quasi naturale, come se il mio organismo avesse deciso che non era più ora di dormire.
Mi sono girato su un fianco, ho osservato la mia fidata radiosveglia, poi ho cercato ancora un’altra posizione. Avevo appena fatto un sogno, poche immagini veloci e definite. Mi trovavo sul retro di un magazzino, su un enorme piazzale all’aperto ingombro dei materiali più insoliti, circondato, su tutti i lati recintati fin dove potevo vedere, dai campi coltivati a mais, esattamente come possono esserlo quelli oltre la periferia di una città. Attorno era buio, solo il piazzale risultava illuminato a giorno da grosse lampade piazzate sopra ai pali della recinzione. E c’era tanta gente in giro, anzi, c’erano tutti, immobili, fermi e in piedi nella forte luce elettrica. In questa immagine statica solo il mio punto di vista si muoveva. Spostato vicino ad un lato della recinzione, lentamente io mi innalzavo, come sostenuto da un sottile filo di ferro che mi tirasse verso l’alto. Anzi, guardando meglio mi accorgevo che tra tutti gli altri pali della recinzione si erano formati dei collegamenti di fili, di cavi d’acciaio, brillanti e sottilissimi, ed io lentamente mi libravo nell’aria della notte continuando a salire attorniato da quei cavi. Le persone mi guardavano allibite ed io mi muovevo libero tra i pali come un trapezista del circo.

Alzandomi dal letto ho cercato le mie pantofole, saggiando il pavimento con i piedi scalzi nell’oscurità profonda della camera, ma non le ho trovate, per quanto abbia setacciato una buona porzione di mattonelle fredde. Ho pensato fossero dalle parte opposta del letto, dal lato in cui, quando torno dal lavoro, in genere mi tolgo le scarpe, o mi siedo per cambiarmi d’abito. A passi scalzi ho evitato il cane che da sempre dorme, fedele ai suoi comportamenti, sdraiato per terra, con la schiena appoggiata al fondo del letto. Mi ha subito sentito ed ha tirato su il capo peloso dal suo giaciglio formato da una vecchia coperta stesa a terra. Forse mi ha guardato nel buio, come sempre, forse ha avuto pena di me, come immagino spesso. Le mie pantofole erano dove immaginavo fossero, e le ho subito calzate, compiaciuto del risultato. In silenzio ho spalancato la porta della camera da letto e sono uscito in corridoio, accostandola alle mie spalle, senza richiuderla, ad evitare il cigolio della maniglia. Sono andato dritto in cucina ed ho esitato un attimo ad accendere la luce. I rumori della sera precedente, nella stanza, sembrava si fossero posati sul pavimento, sulle pareti, sui mobili; e un vago odore di verdure lesse era invece rimasto in aria. Dal finestrone una luce tenue di mattino lontano e doloroso attraversava i vetri disegnando i contorni sfuggenti delle cose. Una mattina come tante, come tutte. Eppure unica, irripetibile, senza un perché.
Ci sono delle volte che fingo di dormire. Sto al buio, coperto, con gli occhi aperti e fissi al soffitto, o meglio, considerato il buio, quello che credo sopra di me il soffitto. In questa posizione posso solo pensare, ma non vorrei farlo, vorrei piuttosto che un’ombra sfuggente nella stanza mi prendesse per mano indicandomi qualcosa più importante, un elemento che avesse valso la pena di essere stato qui, di esserci stato per tutto questo tempo, per tutte queste notti vuote e senza senso.

Continua…

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2 risposte a “SOLO FINO A UN CERTO PUNTO – I

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