L’attillato (proseguo de “Gli amanti della fine del Giorno)

L'attillato

Illustrazione di Giulia Tesoro – Altri lavori

L’ATTILLATO
di Bruno Magnolfi

L’angoscia si era diffusa dentro di me giorno dopo giorno. Senza neanche sapere perché, mi ritrovavo a tremare, a stringere le ginocchia tra le braccia, a mettermi le mani dentro ai capelli, certe volte anche a piangere. Spesso desideravo con tutto me stesso che arrivasse qualcuno o qualcosa ad interrompere una situazione così negativa, anche se sentivo nel profondo che era impossibile. A volte facevo un giro a caso con la mia macchina e mi sembrava incredibile che ancora si costruissero case, strade, palazzi, sterminate periferie incolori dove la gente perdeva qualsiasi identità. I vestiti attillati mi erano sempre piaciuti, le pieghe e le grinze mi pareva deturpassero il corpo, dovevano essere addosso nel numero minore possibile, e piccole. La stoffa di troppo attorno alla pelle era qualcosa che rovinava l’estetica della persona, ne cambiava qualsiasi connotato, andava evitata. Qualcuno mi disse che dovevo conoscere gente, scambiare le idee, confrontare i pensieri con quelli di altri, così entrai dentro ai bar della zona cercando di essere un po’ spiritoso per attaccare bottone con qualche soggetto che si giocava la briscola o segnava i punti al biliardo, ma non legai con nessuno, e un paio di persone mi dissero di levarmi dai piedi. Non ci credevo, non credevo più a nulla, mi pareva tutta una fregatura continua, mi rendevo conto che nessuno aveva bisogno di me. Giravo per strada e vedevo persone che erano più corazzate di me, e quindi stavano bene. Spesso, con il mio abbigliamento attillato, io mi sentivo più nudo degli altri. Non avrei potuto cambiare i calzoni con un paio meno stretti, non era per me, non sarei stato lo stesso: alla mia identità ci tenevo. Quando mi misi con quel gruppo di persone completamente fuori di testa, lo feci perché mi sembrarono subito pieni di tanto entusiasmo, ma soprattutto perché non mi chiesero niente. Mi chiamavano, a volte, ci si ritrovava in luoghi improbabili, spesso c’era anche gente che non conoscevo, che non c’era la volta passata, e mi offrivano qualcosa da bere, dei panini imbottiti, erano tutti cortesi e parlavano, qualche volta parlavano anche con me. Ci si sistemava sull’erba, a volte seduti sopra le pietre, e poi si guardava il tramonto. Infine si tornava alle macchine e via, ognuno per sé. Una volta dissi a qualcuno che avevo iniziato a guardarlo anche da solo il tramonto, ma quello si arrabbiò, fece un mezzo casino, alla fine andò a dirlo anche al capo, un tipo che faceva il discorso per tutti, e quello venne da me, scuro in faccia come la notte, e mi disse che non dovevo tornare. Non capii dove avevo sbagliato, però fui contento lo stesso: avevo detto la mia, non ero stato del tutto a quello stupido gioco; e poi quella gente portava mantelli, giacconi, tuniche, tutti vestiti larghi e pieni di grinze e di pieghe, non avrei potuto andarci d’accordo parecchio, anzi forse era troppo anche quel poco di tempo che era appena trascorso. Me ne andai, e questo fu tutto.

Bruno Magnolfi – 19 agosto 2009 – Altri Lavori

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2 risposte a “L’attillato (proseguo de “Gli amanti della fine del Giorno)

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