CARAMELLA

Willoworld e Rivoluzione Creativa sono lieti di presentare una new entry davvero speciale. CARAMELLA è una dedica all’amore torbido, folle, passionale e inafferrabile. Leggendolo scoprirete di poter amare ed odiare alla stesso modo dell’autore, e pur di farlo sarete pronti ad uccidere oppure a morire…
Buona lettura!

MT

Mastro Tensione vive in provincia di Caserta. Ha 30 anni, una moglie, un figlio e qualcosa che non va nella testa. Non frequenta luoghi di cultura, non va alle mostre. Ha grandi affinità con i pazzi, le puttane e i barboni. Adora tatuarsi, adora i gatti e i vinili. Suona male un Fender Jazz giallo. Ha scritto diverse cose nel corso degli anni, che ha meticolosamente cancellato. Gli piace lavare i panni sporchi in pubblico.

C A R A M E L L A

“Tu sei meravigliosa
gli dei aspettano
di compiacersi in te”

C. Bukowski

Blood_Splattered_Bride_by_SamuraiChopstick

C  – Chewingum

Tutte i chewingum sono uguali prima di finire nella tua bocca. Tutti i chewingum non sono che stupido chewingum, finché tu non ci schiudi le labbra sopra e li accogli con la lingua. Nel momento in cui i tuoi denti ne spezzano la crosta di cera di carnauba, tutto cambia. La cera di carnauba si mischia alla tua saliva, ai suoi enzimi e diventa miracolo. Diventa la mia carne. Bevi caffè e divento caffè, per poterti entrare nelle viscere, per attaccarmi alle pareti del tuo stomaco, per starti dentro e restarci il più possibile. Mi incarno chewingum per essere morso da te, per far scendere il mio liquido dolce lungo la tua gola. Forse è questa la mia condanna. Sono una bottiglia d’acqua che qualcuno ha lanciato nella schiuma del fiume, disinteressandosi totalmente del mio destino. La corrente mi porta, mi sbatte da un capo all’altro della riva, mi riempie, mi affonda, mi fa schizzare a galla. Mi fa vedere cose nuove e guardare da una prospettiva diversa cose che ho già guardato milioni di volte. Mi fa sentire sapori nuovi, mi fa guardare con occhi che non sono i miei, in un modo in cui altrimenti non avrei potuto. E’ come guardare il mondo da dentro. Io stesso mi sento mondo. Mi rendi terra e fiume, corpo e sangue. Tu rendi possibile tutto ciò. I tuoi occhi mi rendono uomo. Tu sola rendi le mie gambe, gambe e le mie mani, mani. Se sapessi di non poterti toccare mai più, smetterei di essere tutto ciò che vedi. Ritornerei a usare le mani per cose stupide, a usare le gambe per camminare, gli occhi per vedere dove cammino e la testa per pensare a dove andare. Ma da oggi, dal momento preciso in cui sei entrata nella mia vita, io desidero altro. Desidero che il mio cuore smetta di essere un comune organo, desidero che si trasformi in una spugnetta beige, una di quelle che si usano per raccogliere gli aghi e gli spilli. Infilane pure quanti ne vuoi, uno dietro l’altro, delle misure che vuoi. Dritti, di traverso. Spezzali dentro di me. Voglio farmi male, voglio sanguinare. Voglio che tu sia la Maestra del mio dolore. Tu sei la Verità.

Cicche

A – Cicche

Le cicche che lanci e che non superano il limite del marciapiede si accumulano. Saranno una cinquantina. Si accumulano a casaccio, in un ordine folle. Le venisse a studiare un professore, forse troverebbe un nesso con la disposizione delle stelle, una sorta di nuovo calendario Maya. Un ordine folle, come quello dei vestiti accumulati sul nostro letto. Un ordine che rompiamo ogni volta e che ogni volta fingiamo di ricostruire, pronti a disfarlo mille volte ancora. Fare e disfare. Odiarti. Dirti “ti odio” è chiamare ordine il disordine. C’è una logica in tutto questo, non sappiamo riconoscerla, ma c’è. E’ evidente. Una logica assurda. I miei pensieri, i tuoi sorrisi, il fumo delle mie sigarette soffiato sul tuo viso, il tempo trascorso insieme, si accumulano come le nostre cicche sul marciapiede. Quando passerai, guardale. Guarda che belle le tue cicche miste alle mie, indistinguibili. Vuoi sapere quali sono le tue, quali le mie? Avvicinati. Vai a guardarle negli occhi. Chiedi alle mie quali erano le parole che la mia bocca ha taciuto mentre fumavo. Chiediglielo. Se ne avranno voglia, te lo diranno. Io un po’ i tuoi pensieri li conosco. Spiegarne il perché è un’impresa inutile. Meglio vivere che tentare di spiegarci la vita. Ecco: tu per me sei vita, non sei pensiero. Sei baci, sei bocca, sei mani, sei occhi, sei parole, gesti, sospiri. Sei carne. Sei capelli, vestiti, canzoni, pagine di libri. Sei le parole che pronunci mentre muoio nei tuoi occhi. Questo è quello che mi fa venire i brividi: la consapevolezza che tu sia reale. La consapevolezza di averti nella mia vita. La consapevolezza che tutte queste cose – baci, bocca, mani, occhi, parole, gesti, sospiri, carne, capelli, vestiti, canzoni, pagine di libri – mi appartengono. Mi fai venire i brividi, mi fai stare bene. Averti nella mia vita mi fa sentire speciale.

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R – Ossa

Entrarti dentro e riuscire a toccare la tua anima, anche se ti ostini a dire che dentro hai solo un enorme vuoto, è come aprire una cassaforte senza averne le chiavi. Immaginami pure con lo stetoscopio ascoltare i tic tic della combinazione giusta. E’ così che mi vedo io. Un lavoro duro che richiede pazienza e dedizione. Io che spacco tutto per una stronzata qualsiasi, sono disposto a trascorrere ore a cercare la combinazione giusta per aprirti. Riuscire a guardarti dentro è appagante. E’ come stendersi sul letto dopo una giornata in fabbrica, come bere acqua a volontà quando sei assetato dal sole di Agosto. Tu mi stanchi, mi sazi, mi sfinisci. Mi riempi e mi svuoti. Ho fame e sete. La tua stessa fame, la tua stessa sete. La fame e la sete sono bisogni primari e io sono disposto a tutto pur di appagarli. La fame e la sete non conoscono ragioni. Non guardano in faccia a niente e a nessuno: convenzioni sociali, giudizi, anelli, morali, principi. La fame e la sete non guardano in faccia alla paura di farsi del male, né alla paura di fare del male. Soddisfare un bisogno primario è un diritto. Infilarti la lingua in bocca, farla scivolare sulla tua, succhiarti le labbra, misurare con le mie mani ogni singolo millimetro del tuo corpo, afferrarti le anche, entrarti dentro e spingere finché ce n’è, piegarti in due, tenerti i polsi, morderti, spingerti con la faccia nel cuscino, spingere e spingere e spingere ancora fino a toccarti la punta dell’anima è un mio diritto. Sottrarmi alla morte attraverso la tua carne è un mio diritto. Un tuo splendido regalo. Tu sei la mia fame e io farò di tutto per saziarla. Per saziarti. Voglio spezzarti la schiena a furia d’amore. Lo desidero più della mia vita. Spezzarti la schiena a furia d’amore. Non vivrò che per questo. Per sentire il crack delle tue ossa sotto le mie.

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A – Lacci

Fare l’amore con te è come tornare a casa. E’ vedere il posto che desideri vedere, respirare l’aria con il profumo che sai di voler respirare. E’ camminare a luci spente, sapendo già dove andare. Fare l’amore con te è respirare dopo anni di apnea, è risorgere. E’ come tornare a casa quando sei stufo di girare. Come inciampare nei lacci delle scarpe, cadere e riderne. Fare l’amore con te è grazia divina, è follia, è perdersi. Fare l’amore con te è avere voglia di stare bene, di non desiderare di essere sei metri sotto terra. E’ passare davanti allo specchio e non avere voglia di spaccarlo. Fare l’amore con te è scordarsi di chi si è. Fare l’amore con te è andare oltre, è spaccarsi le gambe, la schiena e sudare e sudare e sudare. E’ darsi senza riserve, nutrirsi. E’ guardarti attraverso lo specchio mentre ti sono dentro e non credere a quello che vedo. Fare l’amore con te è avvicinarsi a Dio, toccargli la barba con la punta del cazzo e tornare indietro. Stanco.

buco

M – Buco

Ti sento scivolare lenta sulla mia schiena. Con un movimento quasi impercettibile, guadagni millimetri sugli anelli della mia spina dorsale. Sento che entri dentro la mia carne, sento che la mordi:
“Qual è il tuo buco?”
“Il mio buco sei tu”.
Il mio buco si chiama Caramella. Il mio buco ha molto a che vedere con il dolore della roba. Perché tu sei altrettanto devastante. Penso a te come a una formica che mangia un enorme pezzo di pane in solitudine. Un morso alla volta. Un piccolo insignificante morso alla volta. Questo è il lavoro che fai con me. Mi divori, mi stremi, mi stracci, un piccolo morso alla volta. Finirà che ti uccido, lo so. Questo è il mio amore per te. Il mio amore non ama la felicità. Sono bacato dentro, lo sai. Io voglio distruggerti. Voglio annullarti, annientarti, ridurti in schiavitù. Il mio amore per te è desiderio di possesso, di sopraffazione, di sangue, graffi, grida, schiaffi. Sogno la rubrica del tuo telefono con il mio solo nome. T’immagino indossare, devota, una collanina d’oro con appeso un ciondolo con la mia immagine serigrafata, come quelle che indossano le mamme che perdono i figli. A te che sei Dio, mi ribellerò come ho sempre fatto. Ribellarmi è il mio talento. Tutti hanno un talento. Il tuo è devastarmi, occupando con il tuo pensiero ogni singolo maledetto secondo della mia vita, il mio è ribellarmi. Ti legherò ad una sedia e non ti darò da bere, né da mangiare. Ti guarderò dimagrire a vista d’occhio e scoperò davanti a te con tutte le persone che più ami: tua sorella, le tue amiche, tua madre. Ti lascerò al buio, così che non potrai vedermi piangere.
Se non posso averti, ti ucciderò. Ti ucciderò perché ti amo come nessuno ha mai fatto prima. Tu sei La verità, tu sei Dio… ma io non so se sarò in grado di reggere tutto questo a lungo.
Davanti a te non sono niente, davanti a te sono un uomo che si ribella a Dio. Per questa elementare ragione, io ti ucciderò.

Sabbia

E – Sabbia

Odio la tua vita, odio le persone che ti sono accanto. Odio le tue risate lontane da me e oggi odierò il mare in cui ti bagnerai. Odierò ogni singolo sbuffo che farai per via del caldo, odierò ogni gesto che farai per scrollarti la sabbia dalle gambe. Odierò ogni volta che inspirerai dal flacone di abbronzante e penserai che ha un buon odore. Odierò la birra che berrai. Odierò ogni volta che ti scosterai i capelli dal viso per guardare verso un posto che non sia io. Odierò il vento che ti asciugherà quando uscirai dall’acqua. Odierò l’asciugamano sul quale ti sdraierai e che ti lascerà segni asimmetrici addosso. Odierò l’attimo in cui, scorgendo la spiaggia, dirai “ecco, siamo arrivati”, l’attimo in cui porgerai l’accendino che ti ho regalato al coglione di turno, che farà finta di non averne uno. Odierò il fumo delle tue sigarette che non potrò osservare svanire nel nulla. Odierò il modo in cui conserverai gli occhiali per non farli graffiare dalla sabbia. Odierò tutte le volte che volgerai lo sguardo alla tua pelle, per controllare che si sia scurita un po’. Odierò ogni volta che penserai a me, ogni volta che sospirerai. Odierò la telefonata che desidererai farmi e che invece non farai. Odierò ogni volta che squillerà il tuo cazzo di cellulare e non sarò io a chiamare. Odierò ogni sms che riceverai e che ti farà sorridere. Odierò il mare che ami, quello stupido mare in cui ti bagnerai. Quel mare che, senza chiedere, senza sofferenza, potrà averti, bagnarti interamente, senza sentirne il privilegio, senza sentirne la responsabilità. Odierò il sudore che colerà sulla tua fronte, come sangue dalla fronte Cristo. Odierò l’acqua che berrai per dissetarti, il pane che morderai per sfamarti. Odierò tutte le malinconie che ti attraverseranno, tutti i respiri che farai, tutte le orme che lascerai sulla sabbia. Odierò la tua ombra che si allungherà e  accorcerà assecondando la distorsione che il sole vorrà regalarle. Odierò il soffio di vento che ti farà chiudere gli occhi e girare la testa all’indietro, come se fossi in uno spot di una crociera sul Mediterraneo. Odierò ogni volta che dirai che il mare in cui ti bagni è sporco, che la sabbia che calpesti scotta, che la gente intorno a te ti fa schifo. Odierò ogni volta che incrocerai lo sguardo di un’altra donna e ti sentirai superiore a lei. Odierò ogni volta che infilerai le dita nel costume per sistemartelo addosso, ogni volta che guarderai l’orologio, ogni volta che scoprirai che il sole si fa sempre più basso sul mare. Odierò ogni volta che sentirai una canzone e penserai che è stupida, ogni volta che ricorderai con nostalgia quando al mare ci andavi con i tuoi. Odierò ogni granello di sabbia che non ti parlerà di me. Odierò l’acqua, il sole, il vento, l’ombra che ti riparerà dai raggi del sole. Odierò la medusa che non si attaccherà alla tua gamba. Ti odierò con tutto me stesso e ancora di più. Ti odierò mentre ti aspetto. Mentre aspetto di poterti guardare negli occhi, per dirti che non è te che odio, ma la tua assenza. Un cancro al culo  l’avrei sopportato meglio. Intanto aspetto. Imperterrito.

asfalto

L – Asfalto

Se è vero che fare l’amore, scopare, fottere – dillo come ti pare – significa colmare distanze, allora è di questo che ho bisogno: di colmare questa infame distanza che ci divide. Niente più chilometri d’asfalto tra noi. Niente case, palazzi, montagne storte, corsie di autostrade, alberi, fiumi putrescenti. Nessun orizzonte tra noi. E’ questo quello di cui ho bisogno: affacciarmi dalla finestra di un  palazzo qualsiasi, chiamarti ed essere sicuro che tu possa sentirmi. Ed essere sicuro che tu possa sentirmi dovunque tu sia, qualsiasi cosa stia facendo. Se è vero che fare l’amore, scopare, fottere – dillo come ti pare – è colmare distanze, perché se ti chiamo non rispondi?  Se è quello che vuoi anche tu , a d e s s o, perché da qui non riesco a vederti? Perché la mia mente deve rincorrere l’ultima volta che ho potuto guardarti negli occhi, per ricordarsi della piega delle tue palpebre?
Perché, perché, perché?
Perché se allungo le braccia non tocco che un fottuto monitor e quattro tasti rotti? Perché? Dimmelo tu. E dimmi perché, se guardo fuori, non vedo che persone che non camminano come cammini tu, che non parlano la tua stessa lingua, che non si toccano i capelli come fai tu? Perché? Perché lasci che questa maledetta distanza non si colmi? Perché, anche se spalanco le orecchie, non sento un sibilo, che sia uno, della tua voce? Immagino la strada che ci divide accartocciarsi come un foglio di carta stagnola. Un foglio d’asfalto che semplicemente smette di esistere. Questo è quello che desidero, nient’altro che questo. Lascia che mi riconcilii con la puttana madre terra. Se ti chiedo acqua, smettila di darmi aceto. Non ho nessuna croce alla quale farmi inchiodare, né un padre infinitamente buono e degno a cui rivolgere preghiere e offrire sofferenze. A me, se m’inchiodano, al massimo mi mangiano i corvi.

bestemmia

L – Bestemmia

Il giorno della bestemmia è il giorno in cui è chiaro che non hai bisogno di me. Il giorno della bestemmia è oggi. E’ il giorno in cui tirerò giù dal paradiso i santi, le madonne, Dio. Alzerò lo sguardo al cielo con le vene del collo gonfie e maledirò ogni singolo momento della tua vita, l’alito di vento che te l’ha donata. Maledirò tutti i bambini che, nascendo, alimentano inconsapevolmente l’insana illusione che l’uomo possa essere migliore in futuro. Un futuro che è un minuto fa. L’attimo in cui mi passi davanti distratta, l’attimo in cui le tue labbra non cercano le mie. Tu non hai fame di me, io non avrò mai più fame di te. Mangerò, m’ingozzerò, ma non di te. La mia fame non porterà più il tuo nome. La mia fame è muta. Grida forte, ma è muta. Una fame mutilata dal tuo sorriso distante. La tua bellezza non ti salverà. Se non hai fame di me, se non chiedi di mordere la mia carne, se non la brami, allora diventi pure carne da macello. La prenda chi la vuole, ma non più tu. Perché da oggi la mia carne non è più la tua carne e la tua carne non è più la mia. Mi accorgo che non lo è mai stata. Mi accorgo adesso che è stato solo un bellissimo sogno. Riguardati piccina.

ulivo

A – Ulivo

Il fatto che tu sia ontologicamente inferiore non mi impedisce di amarti più di quello che è comunemente detto socialmente accettabile. Una sporca cagna, questo è quello che sei. Non sei niente, eppure non riesco a liberare la mia mente dal ricordo del tuo respiro sul mio collo. La vita mi ha giocato un brutto scherzo, facendoti nascere, lasciando che ti incontrassi una mattina, per caso. Sogno di ucciderti vestita di bianco, di cavarti i denti dalla bocca uno per uno. Se trattengo il respiro e ascolto il silenzio, quasi riesco a sentire la presa delle tue mascelle sulla mia mano, lo stridere dei tuoi denti sulla lama del mio coltello. Sogno di vedere il bianco del tuo vestito contaminarsi con il rosso del tuo sangue. Sogno di vedere la tua bocca contrarsi in una smorfia anomala, di vedere i muscoli del tuo collo tendersi come elastici. Sogno di testare la tua sopportazione, di vederti socchiudere gli occhi e perdere i sensi. Tu non conosci l’odore del tuo sangue, nessuno che non sia io lo conosce. Il tuo sangue puzza. Il suo olezzo si attacca alla pelle, come le piattole ai cani. Non c’è modo di lavarlo via. Sogno le tue labbra tremare e fare bolle di sangue, sogno di vederlo colare sul tuo sterno, di osservarne la discesa tra i tuoi seni. Sogno di risalirne il percorso al contrario con la lingua, come pesci che nuotano controccorrente. Sogno di succhiarlo avidamente dal fondo del tuo ombelico. Sogno il pavimento allagato dal tuo sangue. Degenero nel desiderio degenere del tuo battito fievole. Corde stringono i polsi, lividi concentrici rimandano a movimenti sconnessi, disperati. La mia lingua schiocca sul palato, un sapore pungente di ruggine invade la mia bocca. Le tue piastrine adesso si agitano nel mio stomaco. Tu fai parte di me e io non ne ho ancora abbastanza. Se seguissi il mio istinto, dovrei scollarti le retini dagli occhi, infilarti un tubo nel naso, fin dentro i polmoni, e pisciarti nel culo. Infibularti mi renderebbe sereno, mutilarti nel piacere placherebbe la mia ansia. Ti ho uccisa dentro di me, in un punto preciso sotto il costato, che non è il cuore ma molto più dentro, ed ho piantato un ulivo sulla tua tomba. Non ne è nato niente, se non un ramo secco, senza vita. Dal niente non può che nascere il niente. Ho piantato un ulivo dentro di me e non ne è nato niente, se non un misero silenzio. Non c’è luce che nasca dal buio e dal buio non può che nascere silenzio. Non ho spezzato quel ramo, ne ho strappato via le radici. Quello che rimane è una buca dai contorni irregolari e puzza di umido. Ombre al posto della luce e una musica che non viene più dalla tua playlist, ma da un posto distante mille anni luce. Io distante mille anni luce da me. Lasciarmi cadere senza opporre resistenza, assecondando la caduta, inerme, stanco, ferito, deluso, è tutto cio che farò.

Mastro Tensione – Altri Lavori
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2 risposte a “CARAMELLA

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