NAVE SOMMERSA

di Gaspare Burgio

Nadia doveva passare l’estate a casa della zia. Era la sua ultima estate, a Settembre sarebbe partita per l’Austria, studentessa in un collegio prestigioso, e avrebbe lasciato tutto quanto, cambiando universo. Quella era la sua ultima estate libera.
La casa era bianca e modesta, con un piano sopra per le camere, larghissime finestre e tende leggere che la brezza faceva sbandierare un poco. I mobili erano bianchi, e il divano a fiorellini. Non aveva alcun odore, ma era molto fresca. Aveva un cortile davanti, un po’ ingombro ai lati di cianfrusaglie e cinto di una palizzata di legno bianco, e stava nella parte alta del paese, che si vedeva il mare ma non la costa, addossata ad altre case simili da cui venivano molti rumori di gente e cose. Nadia non era abituata a sentire il vicinato: il suo appartamento in Centro era isolato da tutto e lontano dalla strada.
La zia di ritorno dalla cucina si pulì i palmi delle mani sul vestito e tirò il fiato, con un sorriso un po’ imbarazzato. Nadia, seduta sul divano, si guardava intorno senza fissarla.
– Uff… dai, che ti diverti. C’è il mare, e poi tra qualche tempo c’è la Festa d’Estate.- Nadia fece sì con la testa.
Ci fu un rumore di passi, sulle scale, e una ragazza magra, coi capelli neri corti e una maglietta bianca, passò nell’ingresso.
– Morgana… Morgana! C’è tua cugina, non la saluti?
La ragazza andò alla porta, e senza voltarsi disse un ciao disinteressato. La zia ebbe quell’espressione che sembrava dire “sei sempre la solita”.
– Dai, porta tua cugina fuori. Fate amicizia, no?
Morgana si fermò, sbuffò e con fare annoiato offrì la mano alla cugina. Aveva gli occhi chiari, verdi, e la pelle molto scura, che faceva un grande contrasto. Labbra carnose e un tono di voce basso, quasi maschile.
-Ciao.- Nadia fece un sorriso di maniera, si alzò goffamente dal divano e ricambiò la stretta. Poi seguì la cugina fuori di casa.

Il vecchio porto era disastrato e inutilizzato da molto tempo, e vi si recavano solo i giovani più intraprendenti, un po’ per il gusto dell’avventura, un po’ perchè era isolato e neppure i due Carabinieri facevano ronda da quelle parti. La banchina era invasa di erbacce, pezzi di lamiera rugginosa e una grossa ancora incrostata di salsedine e telline. Il faro, non molto alto e tozzo, pareva perforato da tanti colpi di cannone e i vetri della lampada erano tutti rotti. Nessuna barca giungeva più da molto tempo in quel porto, perchè i bastimenti carichi di merci e persone preferivano attraccare nella città grande, molto più a Sud.
Morgana si tolse la maglietta, restando col sopra del costume nero che conteneva una forma non molto sviluppata. Mise una pietra sopra la maglietta perchè il vento non la portasse via ed invitò Nadia a sedersi sui frangiflutti, vicino all’acqua, sulla cima del molo. Non dissero quasi nulla.
Nadia provò a fare conversazione, ma le sembrò di apparire infantile: le toccò ammettere che non lavorava, che non fumava e che non aveva il motorino. Non fece per niente una bella impressione a sua cugina. Si sentì subito piccola, sebbene fosse di un anno più grande. Anche fisicamente, Morgana sembrava una donna già fatta, e probabilmente doveva aver avuto delle esperienze coi ragazzi.
– Sai nuotare?- le chiese Morgana d’improvviso. Quando Nadia dovette ammettere che non lo sapeva fare, la cugina comunicò stizza con le spalle e con la bocca, con un gesto che stava a dire “sei proprio inutile”. Si alzò, si tolse i pantaloncini di jeans e si tuffò nell’acqua, sparendo sotto i flutti del mare. Restò sotto un bel pezzo, e Nadia aspettò, le ginocchia strette al petto e il vento marino che le scompigliava i capelli biondi. Quando Morgana riemerse teneva qualcosa in mano.
Lo mostrò alla cugina.
– Sai cosa è?
– No.
– Ma accidenti, non sai proprio nulla. È il pezzo di una nave. C’è affondata una nave, qui.
– Ah.
– Una nave vecchia, di legno. Qui prima si fermavano le navi. Ce n’è una, ma lo so soltanto io. Così un giorno la tirerò su tutta e mi prenderò quel che c’è dentro.
– E cosa c’è dentro?
Morgana non rispose. Si asciugò il naso con la mano, e si scosse i capelli.
– È vero che te ne vai in un collegio?
– A Settembre.
– Vorrei dire cose profonde alle volte. Però tutto cambia sempre così in fretta, una cosa è vera solo per un po’ di tempo.
– Questa è già una cosa profonda. Ma che cosa hai sul braccio? – Morgana lo tese avanti.
– Questo? Un tatuaggio riuscito non bene. Me l’ha fatto una mia amica, appena mi pagano al Bar lo ribatto bene. Certo che te vivi proprio in un’altro mondo… Scommetto che hai le bambole in camera.
Nadia non lo ammise, ma era vero.
– L’ho fatto per ricordarmi che io sono io. Che non devo fare pompini dietro le siepi della scuola, solo perchè mi viene chiesto. Non sono solo quello, si finisce per non riuscire a dare valore a nulla. Ma te che ne sai. Ci sta che neppure sai di che parlo.
A quel punto si udì un rumore di motori. Morgana si alzò in piedi e rimase così, di sentinella, a guardare verso l’interno. Degli operai armeggiavano con delle transenne. Una scavatrice, alzando polvere dalla strada sterrata, si avvicinava al molo, molto piano.

Quel giorno Nadia comprò un quaderno. Ne trovò uno con la copertina nera, rugosa, e i fogli un po’ gialli, con il bordo di fuori rosso. Quei quaderni che si usavano molto tempo fa. D’estate le piaceva avere queste iniziative, come tenere un diario, ad esempio, e la prima pagina bianca, ordinata, liscia, la metteva di cuore sereno. Aveva un’amica, da bambina, si chiamava Erica. Quando scriveva, scriveva sempre ad Erica, anche se poi non le dava niente da leggere e si teneva tutto perchè non sapeva neppure dove fosse finita, la sua amica.
Quella sera, nella camera piccola che le era riservata, dopo una doccia si mise comoda alla scrivania e aprì il quaderno. Voleva scrivere della giornata trascorsa. Poi sentì qualcosa venire dalla stanza accanto. Era Morgana, che piangeva.

Gaspare Burgio – Altri Lavori

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