LA MANTIDE RELIGIOSA

di Gano

All’anagrafe risultava col nome di Romolo Bertani, ma al bar tutti lo chiamavano Romoletto per via dei suoi dignitosissimi 161 centimetri di statura. Dopo vent’anni le battute si erano esaurite, ma c’era ancora chi ci provava. A Romoletto non dispiaceva, anzi, prendersi poco sul serio era la sua forza. Ma il suo cruccio non era la statura, erano le donne, problema non da poco e decisamente molto comune… Ogni mese lo vedevi entrare dalla porta a vetri insieme ad una nuova, che a prima vista ti facevi subito tutto il film in testa. Romolo non se la passava male, lavorava nel settore edile e tirava su un bello stipendio. Le cialtrone lo sapevano e gli ronzavano attorno come le api, ma lui, per quanto ingenuo, c’aveva la moglie che gli salvava il culo. Di sicuro quella santa donna gli voleva sempre bene, per questo gli rifiutava il divorzio. Sapeva che il minuto dopo la firma lui si sarebbe andato ad impegnare con la prima poco di buona, la quale lo avrebbe in pochi mesi prosciugato fino all’osso. Ogni tanto al bar potevi imbatterti nella Simona, un donnone fiero, un tempo sicuramente discreto. Ti prendeva per un braccio e a volte ti strizzava, poi ti guardava negli occhi dicendo: – Dov’è quel cretino di mio marito?
Te provavi a difenderlo, ma lei t’inchiodava, e c’aveva anche le sue ragioni. – Se non fosse per me, che gli faccio ancora la contabilità e mi occupo delle banche, il tuo amico sarebbe a dormire sotto un ponte… – Perché la Simona non era solo la moglie di Romoletto ma anche la sua socia in affari.
Comunque, tutti gli equilibri, specialmente quelli meno stabili, son destinati a rompersi. Basta qualcosa di inaspettato, un ‘incognita, un vento freddo dal nord, un portento della natura. Ecco, proprio quello arrivò sulla strada di Romolo. Un portento.
Si chiamava Gigliola, trentadue anni, lo superava di tutta testa, ma ci voleva poco. Bella si, ma non l’avrei toccata neanche con una canna da pesca. Per quanto mi ritenga un grande amatore e non faccia distinzione tra belle, brutte, grasse e magre, ci sono delle donne alle quali non mi avvicinerei neanche se me l’ordinasse il dottore. È una questione di pelle, non so come dire… o forse è una questione di aurea, come dicono quelli della new age. Gigliola, bionda platinata con la zazzera sbarazzina, gli occhioni verdi e la bocca piena di rossetto, un culo da brividi e due gambe che non finivano più… ma le vibrazioni cosmiche che emanava riuscivano a rattrappirti l’uccello. Tant’è che appena la vidi glielo dissi al Cossu, che leggeva la Gazzetta appoggiato al frigo dei gelati Algida: – Questa non è una donna… è una mantide religiosa!
Ma il povero Romoletto le andava dietro come un cagnolino in calore, un bassotto s’intende. La prima settimana la collana di perle, la seconda la pelliccina, poi l’anello col diamante… Ma a lei non bastava, voleva di più. Voleva il trono.
C’erano tutti al bar la sera in cui Romoletto alzò la voce contro la Simona. – Basta, non ne posso più. O firmi quelle carte, o ti giuro che prendo l’avvocato più tosto della città e ti faccio levare ogni cosa, anche la casa!
– Povero Romoletto, e pensare che ti ho voluto bene… – rispose lei con un mezzo sorriso. Gli strappò le carte del divorzio dalle mani e gliele firmò davanti a tutti. – Addio nanetto! – e uscì di scena insieme a sui novantacinque chili abbondanti.
Due mesi dopo ci ritrovammo tutti al matrimonio dei due piccioncini, la festa più kitsch che abbia mai visto. Chissà perché le donne senza stile son sempre quelle delle brutte vibrazioni. C’è un senso che accomuna il tutto, fili invisibili che uniscono le strade di certe persone allontanandole da certe altre. Persone come la Gigliola è bene si tengano alla larga da me…
Passò un anno e di Romoletto non si seppe più nulla. Al bar non ci veniva più e per noi habitué se non venivi al bar era come se tu non esistessi. Le voci però arrivarono, perché quelle arrivano sempre…
– Hai sentito che è successo al Bertani? – La domanda retorica era dell’ingegner Franceschini, che veniva tutte le mattine a prendersi il caffè col budino di riso.
– No, è da una vita che non si vede… – risposi io, col mio cicchetto delle nove meno un quarto.
– Quella lurida della sua moglie… non le bastava tutto quello che aveva…
– In che senso? – chiesi io, sempre più curioso.
– Per accontentarla s’era messo a lavorare anche nel weekend, tutte le sere fino alle dieci. Lo vidi un mese fa, sembrava un fantasma. Ci credo che gli è venuto l’infarto, pace all’anima sua!
– Ma cosa mi dice ingegnere? Romoletto… – ma non riuscii a terminare la frase.
– I funerali sono domani, alle cappelle… –
Finì il suo caffè e se ne andò.

Gano per La Giostra di DanteAltri Lavori

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