Il giorno che le fragole vennero su dietro la Chiesa, Nero fu molto sorpreso di valutarne il bel colore acceso e lo spessore delle foglioline, considerato che quella terra non gli era sembrata la più adatta. Ma quella sola aveva.
Lasciò che il ragno gambalunga facesse pure la sua tela tra il muro sbrecciato e l’asticella che reggeva le piantine, avrebbe tenuto a bada altri ospiti più fastidiosi. Certo, avrebbe avuto qualche problema con le vespe, quelle sono tenaci e cattive, ma Nero sapeva esservene poche su quelle colline, non si preoccupò molto per le sorti del ragno. Ve ne erano alcuni, presso le scale che salivano alle campane, persino più vecchi di alcune montagne.
Nero si sedette sul muro di pietre davanti al cortile della Chiesa, le grosse gambe penzoloni, a guardare la strada di ciottoli che risaliva dal paese fino lassù, poi le nuvole pigre, e ancora la strada. Mangiò il panino togliendolo da una tasca e da un involto di carta. Il pane morbido al latte era il suo preferito, così come le melanzane che lo farcivano. La signora che portava giù dal paese le vivande non dimenticava mai questa passione frugale di Nero.
Finito il buon pasto e atteso qualche istante di pace si infilò in Chiesa dove lo attendevano ancora molte incombenze per quel giorno. Grosso com’era fece fatica a passare dalla porta e una volta dentro non era facile per lui lavorare tra le panche. Ma era un uomo paziente e si muoveva con infinita grazia, come se l’orologio avesse cento tacche e non solo dodici.
Presto e bene van male assieme, soleva ripetersi spesso.
Ultimate le pulizie, la messa in ordine delle svariate cose, il disporre degli ammennicoli necessari, uscì prima che arrivasse la gente: si trattava di faccende loro, era assai meglio non occupare spazio destinato ad altri. Sapeva che il suo corpaccione robusto poteva spaventare gli estranei. Inoltre non sapeva alcuna preghiera, e non aveva mai avuto bisogno di impararne qualcuna.
Si recò così al piccolo magazzino che stava poco sopra la Chiesa, nascosto discretamente da un roveto posto ad arte. Il magazzino conteneva tanti attrezzi, il suo letto, il suo bagno, un armadio con i suoi abiti dal lavoro. Non aveva vestiti mondani, non avrebbe saputo che farsene e in fondo non aveva interesse ad allontanarsi tanto dal magazzino e dalla Chiesa.
Il posto era così tanto stretto per lui che non avrebbe potuto fare un saltello senza battere la testa sui legni del soffitto, ma era costruito molto bene, conservando il calore d’inverno, procurando fresco d’estate e offrendo una magnifica vista sulle colline sfumate che si perdevano all’orizzonte. Gli piaceva moltissimo il fatto di poter allungare una mano ed avere tutti i suoi attrezzi vicini, ma, a dirla tutta, in sua presenza un ospite non avrebbe potuto che starsene rannicchiato in un angolo.
L’aveva costruito suo padre, un ometto piccino e allegro, con i baffetti a manubrio, che aveva viaggiato molto. La notte, dopo aver giocato a carte con gli amici del bar, un po’ brillo per il vino, si metteva davanti Nero e gli raccontava le cose del mondo, inventando per lui dettagli assolutamente inverosimili eppure bellissimi. Se ne andò quando se ne andò il circo, si era innamorato della donna-serpente. Suo padre era sempre stato facile all’amore, gli raccontava di avere cento figli sparsi per il mondo, quando il cuore chiamava era incapace di resistere. A Nero disse che sua madre era di un luogo lontanissimo, oltre il mare, una donna meravigliosa che ballava per i sovrani di una terra di sabbia. Poiché era promessa ad uno dei principi del posto il loro amore li costrinse a scappare, ma una tempesta di sabbia li divise durante la fuga e di lei non seppe più nulla. Suo padre attraversò il deserto con Nero in braccio fino a giungere ad un porto sicuro dove solcò le onde su una nave di contrabbandieri.
Nero non sapeva quanto di vero ci fosse in quelle storie che gli raccontava suo padre. Erano belle, non gli importava fossero reali. Ne ricordava molte, e queste storie gli facevano compagnia quando si ritirava nel suo rifugio e si impegnava nei lavori.
In un angolo della bicocca stava poggiata una vecchia motocicletta che Nero aveva tirata su da un fosso. Apparteneva al medico del paese il quale dopo una brutta caduta non la volle più indietro e la regalò al grosso custode. Nero fu ben felice di dedicarle del tempo. Come oggi, ogni giorno si dilettava a smontarla, pulirla, riparare i pezzi rotti e provare in ogni modo a farla partire. Come oggi, ogni giorno la portava fuori e provava a metterla in moto. Dato che non si intendeva di meccanica faceva le cose come pensava fossero giuste, andando a buonsenso, con la speranza che una sorta di magia mettesse in funzione la motocicletta anche se imperfetta. Non accadeva mai, ma di questo non si curava molto: era bello semplicemente dedicarle del tempo, che pure così rovinata a Nero pareva affascinante.
Fu in quella che notò una ragnetta sul paraurti posteriore. La prese nel cavo delle sue mani giganti, con estrema delicatezza. Le disse di avere un posto migliore per lei, davvero il più adatto. Così la portò presso le fragole nuove. Avrebbe fatto famiglia con il gambalunga, ed insieme una ragnatela molto più grande e solida.
La ragnetta mosse timida le zampette verso l’asticella, incoraggiata dai “su, su” premurosi di Nero. Fu subito accolta con piacere dal giovane padrone di casa. Era bello avere qualcuno con cui condividere le cose, pensò il gigante, soddisfatto che le cose si mettessero per il meglio.
Tra queste ed altre cose passò quel giorno, che non era dissimile da tutti gli altri, eppure erano accadute tante faccende nuove da poterlo distinguere facilmente. Se ne potevano sperare altri uguali, tutto sommato.
Quando fu sera, e il sole scese verso le colline tingendo tutto di bordi dorati ed ombre lunghe, Nero si sedette per riprendere fiato, chiuse gli occhi e morì.
Gaspare Burgio – Altri Lavori